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La geopolitica artica del 5G

Piani e sviluppi della rete TLC fra impianti e politica estera

L’anglosfera artica si allinea ai desiderata di Washington, la Russia tiene sotto controllo Huawei e la Groenlandia si conferma il ventre molle della partita. Scopriamo di più sulla geopolitica artica del 5G.

La Fennoscandia nella nuova Guerra Fredda

La Svezia ha deciso. Niente Huawei. Niente Cina nel 5G svedese. Per un Paese che ha un campione nazionale delle reti come Ericcson, suonava abbastanza singolare che ci si affidasse a fornitori stranieri, anche perché la telco scandinava sta riscontrando ottimi successi proprio in Cina, nonostante il Covid. Segno che la Geopolitica ha marcato la sua preponderanza sulle e nelle logiche industriali.

Così, la Scandinavia sta inequivocabilmente piazzando le proprie pedine nello scacchiere a Stelle & Strisce. Norvegia e Svezia varano ambiziosi progetti di implementazione delle forze armate. Danimarca e Finlandia rinnovano il parco aereonautico con gli F-35 della Lockheed Martin, così come nelle intenzioni della Difesa norvegese. Per Stoccolma si paventa una triplicazione degli attuali 30 mila effettivi, cosa che prosegue il trend militarista che ha visto reintrodurre la leva obbligatoria nel 2017, abolita nel 2010.

A corollario di quanto sopra, i Paesi dell’area stringono intese di cooperazione securitaria. Decenni di fama pacifista, in alcuni casi neutralista, spazzati via da repentine e nette decisioni di schieramento. Washington cerca, in tal modo, di cristallizzare la partita artica. Sia contro Mosca sia verso Pechino. 


La tattica degli USA è una difesa aggressiva, come per le più agguerrite neopromosse in Serie A. Segno di inconfessata debolezza. Trent’anni di riflusso in logiche finanziarie e delocalizzazione di capacità produttive in Cina hanno messo la terra dei Padri Fondatori in un’inedita condizione di inferiorità tecnologica verso il Dragone. E oggi si ricordano che la Tecnologia è il motore della Storia e che, dunque, la sua supremazia è un must per un Egemone che si rispetti.

Il 5G è solo uno degli aspetti dell’attuale competizione per il primato. I mattoni tecnologici, chip e transistor, sono l’altro lato. I materiali da cui sono composti e la relativa filiera logistica di approvvigionamento, produzione ed estrazione completano il quadro. Ecco spiegata la rinnovata sensibilità statunitense verso le Terre Rare prodotte in casa.

5G, ultima frontiera

Il 5G è la frontiera ultima delle telecomunicazioni, quella che dovrebbe permettere  l‘Internet Of Things, un’integrazione intelligente, ultra affidabile e veloce tra le applicazioni industriali della modernità. Computer, elettrodomestici, domotica, gestionali aziendali, comunicazioni, medical care e quant’altro. Comparto militare incluso. Un società moderna così data driven dipende dalla sua infrastruttura tecnica. Il controllo di essa è Potere. E gli USA, indietro nel settore di 3-4 anni rispetto alla Cina, non possono permettersi (tollerare) di arrivare al secondo posto.

La pressione USA sull’anglosfera sta raggiungendo i suoi massimi. Basti considerare che la Svezia, patria di estrema tolleranza, ha da qualche mese chiuso i centri Confucio, strumento del soft power culturale cinese all’estero. In Norvegia – uno dei pochi Paesi in cui esistono ancora studi marxisti e che hanno un’organizzazione stato-impresa non molto differente dalla Cina – sono accesi i dibattiti politici sulla permanenza formalmente “non definitiva” di marines sul suolo nazionale.


Il 5G in Artico

Il 5G è un’infrastruttura da paesi evoluti. E l’Artico è caratterizzato proprio da entità statuali di tal fatta. Il Canada, anello imprescindibile del sistema di intelligence anglosassone Five Eyes, è chiamato a schierarsi e non tarderà a farlo. È sufficiente rimembrare che l’esecuzione canadese di arresto di Meng Wanzhou, direttrice finanziaria e figlia del fondatore di Huawei, giunse due settimane dopo l’invito degli USA agli alleati di evitare l’utilizzo delle compagnie cinesi nelle telecomunicazioni, per motivi di cyber security nazionale, creando una crisi diplomatica tutt’ora in essere.

In Norvegia, Telenor, controllata dallo Stato – il più grande fornitore di telecomunicazioni interno – attiva nel resto della regione nordica e in cinque Paesi asiatici con circa 183 milioni di clienti, nel Dicembre 2019 scelse la svedese Ericsson come fornitore di tecnologia chiave per la sua rete di quinta generazione in Norvegia. Ciò andò ad interrompere, inoltre, il rapporto di decennale collaborazione sul 4G con Huawei.

In più, l’uso dei componenti della ditta di Shenzen in Norvegia sarà gradualmente eliminato, a detta del CEO di Telenor Norvegia, Petter-Børre Furberg, in un periodo di modernizzazione di 4-5 anni. In Finlandia, la solita Ericsson ha una partnership con Elisa, uno dei principali operatori di rete. E all’Università di Oulu già si studia il 6G (Progetto 6Genesis), che andrebbe a sfruttare un’altra banda di frequenza rispetto al 5G, i terahertz (i blocchi 3.4-3.8 gigahertz e 24-27.5 Ghz), che garantirebbero più flusso di dati.

Una visione d’insieme

 In Danimarca il Ministro della Difesa Trine Bramsen ha chiarito che si intende collaborare solo con Paesi alleati in merito alla costruzione dell’infrastruttura 5G.Così, Ericsson ha recentemente attivato la rete di quinta generazione di Tdc Denmark, iniziando dalle quattro principali città. Copenhagen, Odense, Aarhus e Helsingør, per poi arrivare a coprire il resto della nazione entro fine 2020.

Sui generis il caso delle Farøer, parte del Regno danese. La morfologia insulare impone una predilezione delle telecomunicazioni aeree su quelle sotterranee. Secondo al mondo per la qualità della propria rete 4G-5G, anche grazie agli accordi con Huawei, oggi l’arcipelago si trova nel mezzo della disputa securitaria sino-statunitense. Ultimamente, il Segretario di  Stato USA, Mike Pompeo, ha incontrato il rappresentante faroese a Copenhagen, insieme a quelli groenlandese e danese, in un attualissimo tour europeo di hard power americano, segno della rinnovata attenzione di Washington per il quadrante.

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La Groenlandia si conferma il ventre molle dell’Artico anche nell’occasione. A fine 2019, Kristian Reinert Davidsen, CEO di Tele-Post – di proprietà della compagnia governativa di telecomunicazioni Tele Greenland – ha optato per una fornitura 5G da parte di Ericsson, escludendo esplicitamente Huawei. D’altra parte, la rete 4G, implementata in tutta l’isola solo nel Novembre 2018, è stata costruita dalla medesima azienda svedese e, dunque, cambiare supplier tecnologico non avrebbe alcuna logica di continuità industriale.

Il tutto si complica perché, sebbene Huawei non parteciperà al 5G groenlandese, i cinesi hanno già fornito parti dell’infrastruttura. In particolare, hanno provveduto per le stazioni terminali al cavo sottomarino di 4.600 chilometri che collega la Groenlandia con il Canada e l’Islanda. Parliamo di una quindicina di siti costieri ove transitano i dati della fibra ottica marina. Insomma, il Dragone ha già affondato la zampata nella flebile neve di Kalaallit Nunaat.

La scelta ibrida della Russia

La Russia ha adottato, invece, una soluzione intermedia. Nel giugno 2019, Huawei ha firmato un accordo con il più grande operatore russo, Mobile TeleSystems (MTS), per sviluppare e lanciare reti 5G nella Federazione, il quale si è, poi, visto assegnare nel Luglio 2020 una licenza quinquennale per fornire il servizio in ben 83 regioni. Dietro c’è uno degli uomini russi più facoltosi, Vladimir Evtushenkov, azionista di maggioranza con l’holding Sistema PJSFC.

Contemporaneamente, sempre nel Luglio 2020, Rostelecom e Rostec, ambedue nell’orbita statale, hanno sviluppato una bozza di roadmap per l’attuazione dell’accordo concluso con il governo al fine di sviluppare reti 5G. Rostelecom è un operatore di telecomunicazioni, partecipato dallo Stato per circa il 38%, mente Rostec è una conglomerata attiva nella Difesa (elicotteristica, munizioni, armamenti – è proprietà dell’azienda che produce Kalashnikov, per intenderci), nonché industria pesante, ingegneria e, soprattutto, high-tech ad ampio spettro.

L’importanza di Rostec è tale che non solo il Supervisory Board, il Management Board e il Direttore Generale sono nominati da Putin, ma tra i supervisori figurano ben tre ministeri (Commercio & Industria, Risorse naturali & Ambiente, Finanze), rappresentati dai Ministri in persona, non da loro delegati.

Apparentemente, la soluzione ibrida russa smentisce le preoccupazioni statunitensi sull’apertura delle nuove frontiere delle telecomunicazioni verso la tecnologia cinese. Ma non va trascurato che la Federazione ha sviluppato RuNet, un sistema nazionale di controllo della Rete, volto a bilanciare la dipendenza dai centri di gestione di internet, sorti e dislocati nell’anglosfera, i quali potrebbero oscurare tutti i domini “.ru” con un click, è il caso di dire. Così, la scelta di Huawei sarebbe mitigata dalla permanenza in suolo russo degli hardware finali (root server) in cui immagazzinare i metadati nazionali.

Trump o meno, la politica estera USA è ben delineata. Da decenni. Al containment della Russia si è aggiunto quello alla Cina. Ed è stato proprio il democratico Obama a varare il Pivot To Asia. Le sanzioni contro Mosca servono ad isolarla dal cuore dell’Europa, esorcizzando l’incubo americano dell’Eurasia. Quelle contro Pechino necessitano di più impegno, chiamando a raccolta gli Alleati nella contesa tecnologica. Insomma, nulla di nuovo sotto il Sole. Solo che ora i suoi raggi sono più visibili e cominciano a surriscaldare il Risiko delle potenze globali.

Marco Leone

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Marco Leone
the authorMarco Leone
Relazioni Internazionali, Studi Artici. Dirottato dalla vita verso lidi ameni, dopo l'ennesimo naufragio decide di prendere saldamente il timone in mano e di puntare il Parallelo Zero. Verso il Nord più futuribile che esploratore ricordi

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