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Il crocevia di Edimburgo

Dopo una lunga strategia di crescita nella regione artica, la politica e la congiuntura internazionale pongono la Scozia davanti a un dilemma sul suo futuro.

Cosa viene “dopo”

Il 2023 è iniziato, al di là dei Borders, con una dimissione. Nicola Sturgeon, First Minister, ossia il capo del governo scozzese – da non confondere col Prime di Downing Street, ha rassegnato le dimissioni per ragioni personali. Questo vuoto istituzionale dovrà essere riempito da una politico scelto fra tre candidati, che andranno a sostituire la Sturgeon ad Holyrood, metonimo che indica il Parlamento scozzese, sito di fronte alla residenza ufficiale del monarca in Edimburgo.

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La First Premier Nicola Sturgeon all’Arctic Circle Forum 2017. Fonte: Flickr/Arctic Circle

Questa dimissione lascia alcuni interrogativi importanti, oltre ai chiari strascichi politici. Il primo – e forse quello che starà più a cuore agli scozzesi è sull’indipendenza; l’altro – che sta più a cuore a noi dell’Osservatorio, è appunto sull’Artico.

Sull’indipendenza, argomento che abbiamo trattato brevemente anche su questa artica rubrica, poco c’è da dire perché poco la cosa si è mossa. La Corte Suprema di Londra ha ribadito che la Scozia non può indire un nuovo referendum, cosa auspicata dalla Sturgeon, senza il consenso del Governo centrale di Londra. Come si può ben intendere tra inflazione, guerra in Ucraina per menzionarne solo alcuni, Whitehall non vede come priorità un nuovo referendum, su una cosa peraltro di cui gli scozzesi si sono già espressi.

L’altro punto è l’Artico. Conscia della posizione strategica della Scozia nel Mar del Nord e la sua posizione sub-artica, Sturgeon ha indicato che, nel caso di indipendenza, la Scozia dovrebbe richiedere l’annessione alla NATO, così da poter contare sulla protezione dell’Alleanza Atlantica dei territori e degli interessi economici.

La visione sfumata

Ma, oltre all’importanza strategica, anche la cultura e il commercio hanno un ruolo importante per la Scozia. Nel 2021 il commercio coi Paesi nordici e baltici ammontava a 2,6 miliardi di sterline. La fanno da padrone – tra gli altri – gli investimenti nel settore off-shore, dove i Paesi nordici hanno investito ingenti capitali. Il collegamento naturale sia geografico che culturale ha fatto sì che durante la COP26 il governo scozzese ha ospitato eventi al Padiglione nordico.

Non solo politicamente quindi, ma anche culturalmente la Scozia vede al Nord come suo naturale orizzonte, e forse non necessariamente come unica destinazione. Se è vero che – come disse proprio la Sturgeon in una conferenza a Reykjavik in Islanda nel 2016 – il Nord della Scozia è più vicino all’Artico che a Londra, forse la lungimiranza politica sarà proprio quella di non doversi mettere di fronte al bivio tra il Polo e la capitale, poiché non gioverebbe in nessun caso.

La bussola di Edimburgo

Il sapersi porre sapientemente tra i due punti cardinali potrebbe essere la chiave di volta per avere un peso specifico molto importante, sia all’interno del Commonwealth che tra i Paesi nordici. Essere la nazione costitutiva che possa e sappia mediare e collegare tra le politiche di Londra e quelle dei Paesi scandinavi e artici, potrebbe essere un’occasione per la Scozia di aumentare la propria visibilità internazionale, magari anche in vista di una futura partecipazione nella scena internazionale come nazione sovrana.

D’altra parte queste dimissioni, è inutile negarlo, non faranno altro che rallentare gli eventuali sforzi verso una politica verso Nord più integrata, dato che le proposte per l’Artico potrebbero andare in fondo alle proposte legislative di politiche nazionali, dopo sicuramente quelle sull’indipendenza e alle proposte economiche.

Fortunatamente, oltre alle istituzioni, il collegamento coi Paesi artici è mantenuto vivo dalle università, dai progetti economici e privati. D’altronde il soft power ha sempre il suo peso.

Gianmaria Ricci

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