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La storia dei cacciatori di iceberg

Un business "unico", non senza costi ambientali

“Non tutto il ghiaccio sciolto vien per nuocere”. Se per gli Inuit si prospetta sempre più difficile pensare di vivere senza ghiaccio per la maggior parte dell’anno, c’è chi sta facendo di questa mancanza una fonte di guadagno. Andiamo alla scoperta dei cacciatori di iceberg.

La corsa all’Oro Bianco

 I dati raccolti nei primi due mesi del 2021 mostrano un Artico tendente più al blu. L’estensione e concentrazione di ghiaccio marino sono state rilevate al di sotto della media, con un valore intermedio mensile tra i più bassi registrati via satellite.

Nonostante il mese di gennaio abbia anche rilevato una generale crescita di estensione del ghiaccio al di sopra della media, la riduzione della calotta polare artica continua ad aggirarsi intorno ai 44.700 km quadrati all’anno, circa due volte le dimensioni del New Jersey.

In questo primo periodo del 2021 è stata inoltre osservata  un’anomalia nelle temperature dell’aria, molto al di sopra della media sul versante Atlantico (fino a 8° sopra la media nella Baia di Baffin al largo della Groenlandia) e di circa 6° al di sotto della media in Siberia. 

Il riscaldamento globale: una realtà per i popoli artici

Uno dei detti più popolari degli Inuit recita: “Non si conoscono mai amici e nemici finché il ghiaccio non si rompe”. I 160,000 abitanti che vivono nel Nord del Canada, in Alaska, Groenlandia e Siberia, sono testimoni del cambiamento del loro ecosistema da almeno 20 anni.

Lo scioglimento dei ghiacciai causato dal riscaldamento globale sta mettendo a dura prova la sopravvivenza delle comunità polari, per le quali il ghiaccio costituisce un’importante risorsa, alleato prezioso per la caccia e la pesca

inuit cacciatore

Il ghiaccio sciolto allontana e provoca il deperimento della fauna del Circolo polare artico, e impedisce ai cacciatori Inuit di “scivolare” equipaggiati di slitta sulla coltre ed avvicinarsi alla preda. Le barche a motore sono ormai il più solido alleato su cui possono contare. Non solo per la pesca di foche e unicorni polari, ma anche per braccare orsi, renne o caribù.

Sopravvivere e adattarsi

Come ha ribadito alle Nazioni Unite Duane Smith, Presidente dell’Inuit Circumpolar Conference Canada:

«Il cambiamento climatico non è un problema teorico, ma è una realtà che riguarda l’Artico, una regione che sta lottando per adattarsi al suo impatto. Gli Inuit possono adattarsi ma fino a un certo punto».

Mentre gli abitanti del Circolo Polare Artico fanno i conti con il riscaldamento globale in uno “struggle to survive” che porta anche a gesti spesso estremi – di cui sono dimostrazione, ad esempio, il fenomeno suicida di intere colonie di trichechi ammassati su scogliere non più ricoperte di ghiaccio agli estremi di Alaska e Siberia, o la scelta costretta e ricorrente degli Inuit di mangiare i propri cani da slitta o quella di migrare – c’è chi ha trasformato la rovina altrui in un proficuo business. Travisando, forse, il target dell’adattamento al cambiamento climatico. 

Per ogni cacciatore Inuit che rincorre narvali e orsi e torna al villaggio a mani quasi vuote, c’è un cacciatore di iceberg pronto a puntare il fucile contro un ghiacciaio danzante e recuperarne con un retino i pezzi per imbottigliarne l’acqua e venderla.

Alla ricerca dell’acqua più pura del mondo

I cacciatori di iceberg, come lo sono i vecchi pescatori che navigano al largo della costa di Newfoundland, Canada, ritengono che la loro attività sia innocua per l’ambiente, prelevando ghiaccio che in poche settimane andrebbe sciolto. «We are not here hurting the environment, we are not taking nothing away», come sono soliti ribadire.

In effetti, l’Iceberg Hunter sottrae ghiaccio alla deriva che di certo contribuisce all’innalzamento degli oceani. Ma aldilà del discorso etico che porterebbe più verso un “mors tua vita mea” , ripensando agli Inuit, che a un’azione salvifica di adattamento al global warming, quest’attività ha un potenziale costo ambientale. 

L’acqua degli iceberg è la più pura al mondo, in quanto priva di inquinanti, e a bassissimo livello di minerali come il nitrato. Molte compagnie si occupano dell’imbottigliamento e della vendita dell’oro bianco in versione solubile come la canadese Berg o la norvegese Svalbardi per metterla nel mercato dei “beni di lusso”.

Una sola bottiglia di acqua può costare dai 90 ai 200 dollari. Altre compagnie, invece, la sfruttano per produrre alcolici di lusso come birra e vodka.

I costi sommersi dell’acqua degli iceberg

Ma veniamo al problema ambientale. Le compagnie di produzione sono molto attente a rassicurare i consumatori sul valore “verde” della loro attività, promuovendone la capacità di ridurre il rischio dell’innalzamento del livello del mare e anche di proteggere i fondali al largo del Circolo Polare Artico.

I fondali stessi sono autentici serbatoi di gas metano, a rischio rilascio dal raschiamento delle punte sommerse degli iceberg. Ma nei loro documenti di contabilità, difficilmente viene considerata l’impronta ecologica che l’acqua più pura del mondo lascia nell’ambiente.

Il saggio “Dark Tourism in Iceberg Alley: The Hidden Ecological Costs of Consuming Iceberg Deaths”, di Anita Lam e Matthew Telberg (ricercatori della York University), fornisce qualche interessante spunto sul considerevole rilascio di emissioni di CO2 di cui è responsabile la produzione di quest’acqua di lusso. Ad esempio, secondo il paper, trasportare un iceberg tramite una nave cisterna di circa 20,000 litri fino alla costa richiede almeno 40 o 50 tonnellate di carburante al giorno. 

Acqua poco “trasparente”

Alle voci di allerta si unisce quella di John Mortensen, Senior Scientist al Greenland Climate Research Centre, il quale ha espresso preoccupazione per le emissioni di CO2 relative al trasporto e alla distribuzione. Le bottiglie devono, in effetti, fare un lungo viaggio per raggiungere i wealthy consumers da Dubai a Los Angeles.

acqua berg

Il ragionamento sull’impatto ambientale della produzione dell’acqua più pura del mondo e dei suoi derivati alcolici – sebbene il materiale raccolto sul suo rilevamento sia ancora poco – pone almeno due riflessioni. La prima: lo scioglimento dei ghiacci a causa del riscaldamento globale sta portando via agli Inuit non solo il cibo ma anche le fonti di acqua potabile.

Mentre le compagnie etichettano le bottiglie, magari con il disegno di un grosso iceberg, le fonti di acqua potabile dell’Artico stanno iniziando a seccarsi e a inquinarsi. Man mano che lo stato di permafrost si scioglie, l’acqua e il suolo perdono la loro naturale protezione dai rifiuti minerari e dalle discariche. 

E la seconda: la storia dei cacciatori iceberg nella versione “salviamo l’ambiente” si aggiungerebbe a tutte quelle azioni “a valle” nel processo che coinvolge la tutela del pianeta e dei suoi ecosistemi.  Se è vero che tutte le misure di adattamento al cambiamento climatico intervengono su distorsioni già in atto, fino a che punto “sfruttare” un problema equivale a un’autentica dimostrazione di umana resilienza?

Anna Chiara Iovane

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Anna Chiara Iovane
Laureata in Giurisprudenza e in Relazioni Internazionali presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II. Da sempre sono appassionata alle tematiche relative all'ambiente e allo sviluppo sostenibile, cerco di comunicare il fascino che l'Artico suscita in me consapevole della necessità di trovare soluzioni per tutelare il suo ecosistema.

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