Le isole Svalbard ospitano una biodiversità sorprendente in uno degli ambienti più estremi del pianeta, tra ghiacci, tundra e fiordi popolati da decine di specie animali, in un fragile equilibrio con la (scarsa) presenza umana.
Ai confini del mondo
Le isole Svalbard, incastonate oltre il 78° parallelo nord, ospitano un sorprendente mosaico di vita animale in uno degli ambienti più ostili del pianeta. Questo arcipelago norvegese, ma governato sotto la speciale giurisdizione del Trattato delle Svalbard, è situato a metà strada tra la terraferma scandinava e il Polo Nord. Un regno di tundra, montagne innevate e vasti ghiacciai perenni che si estende per oltre 60.000 chilometri quadrati. Per fare un paragone, poco meno di Piemonte, Lombardia e Veneto messi insieme.

Nonostante l’assenza di alberi e la lunga notte polare invernale, le Svalbard brulicano di fauna selvatica. Possiamo distinguere due grandi categorie: la fauna terrestre, fatta di pochi ma resistenti mammiferi e uccelli di tundra, e la fauna acquatica, ricchissima di creature marine, dai trichechi alle balene, passando per affollate colonie di uccelli marini. In questo ecosistema estremo, l’uomo è un “nuovo arrivato”, che deve imparare a convivere con la natura selvaggia.
Fauna acquatica, l’oceano Artico pullula di vita
Mammiferi
Nel mare intorno alle Svalbard essa esplode in una varietà di specie e forme di vita. Le acque gelide del Mar Glaciale Artico che bagnano l’arcipelago ospitano ben 19 specie di mammiferi marini tra cetacei e pinnipedi, oltre a ricchi banchi di pesci e crostacei che sostentano intere catene alimentari. Balene, foche e trichechi sono presenze iconiche di questo ecosistema marino.
Tra le foche, spicca la foca dagli anelli (Pusa hispida), chiamata così per le macchie ad anello sul mantello. Si tratta della più comune nelle acque costiere e costituisce anche la preda preferita degli orsi polari. Non manca la foca barbata (Erignathus barbatus), più grande e amante dei fondali ricchi di molluschi. Vi è persino una piccola popolazione locale di foca comune (Phoca vitulina) nel sud dell’arcipelago, considerata “indigena”.

Ma il pinnipede più iconico delle Svalbard è senza dubbio il tricheco (Odobenus rosmarus). Questi enormi mammiferi dal muso baffuto e dalle lunghe zanne hanno rischiato l’estinzione: la caccia sfrenata per l’avorio delle loro zanne, durata tre secoli, li aveva praticamente sterminati entro la metà del Novecento.
Fortunatamente la specie è protetta sin dal 1952 e ha visto una progressiva proliferazione. Basti pensare che negli anni ’50 si stimavano appena un centinaio di trichechi estivi nell’arcipelago; saliti a circa 741 individui nel 1993, sono poi stati contati, nel 2018, ben 5.503 trichechi nell’area delle Svalbard, più che raddoppiati in poco più di un decennio. Una prova della resilienza di questa specie, se “lasciata in pace” dall’essere umano.
Cetacei
L’ordine dei cetacei è anch’esso ben rappresentato. Balene e delfini frequentano le acque delle Svalbard soprattutto in estate, quando la ricchezza di plancton e pesce attira questi giganti dopo il buio invernale. Quattro o cinque specie di balena sono comunemente avvistabili attorno all’arcipelago. Beluga (Delphinapterus leucas) e narvali (Monodon monoceros) sono i due odontoceti artici per eccellenza: bianchi i primi, con il caratteristico corno a spirale i secondi.
I beluga in particolare formano gruppi numerosi che entrano nei fiordi di Svalbard e vi stazionano tutto l’anno – sono infatti una delle poche specie di cetacei residenti tutto l’anno nell’Artico. Anche la rarissima balena della Groenlandia è presente, retaggio di epoche glaciali, sebbene avvistata di rado dopo lo sterminio commerciale del passato. Accanto a questi residenti, arrivano in estate dal Nord Atlantico diverse specie di balene migratrici. Non bisogna dimenticare poi l’orca, il superpredatore dei mari: alcune pod (branchi familiari) di orche frequentano regolarmente le acque dell’arcipelago, dove trovano abbondanza di foche e piccoli cetacei di cui nutrirsi.
Uccelli marini
Completa il quadro della fauna acquatica l’impressionante moltitudine di uccelli marini. All’inizio dell’estate, con il sole di mezzanotte che splende sul pack in ritirata, i cieli delle Svalbard si riempiono di stridii e voli di centinaia di migliaia di uccelli marini. Circa 30 specie diverse nidificano sulle falesie costiere, approfittando della sicurezza offerta dalle pareti a picco per allevare i pulcini al riparo dai predatori terrestri.
Le scogliere di isole come Bjørnøya (Isola degli Orsi) o dell’arcipelago di Kong Karls Land ospitano colonie enormi di urie, gazze marine, fulmari, gabbiani tridattili e pulcinelle di mare, solo per citarne alcuni. Ad esempio, le uria di Brünnich (Uria lomvia) formano colonie di decine di migliaia di individui compatti sulle cenge rocciose, così come le piccole alette di mare (Alle alle, note anche come pulcinella minore) affollano le pietraie in colonie che possono contare anche oltre un milione di esemplari ciascuna in siti favorevoli. Il frastuono e il guano prodotti da queste “città” di uccelli sono elementi caratteristici dell’estate polare.

La fauna terrestre
L’adattamento a un ambiente ostile
Le Svalbard presentano un ambiente facilmente definibile come ostile. Nessun albero, solo tundra con muschi, licheni, piccoli arbusti e fiori che sfidano freddo e vento. In questo paesaggio brullo vivono pochissimi vertebrati terrestri, ma altamente specializzati. Il mammifero erbivoro per eccellenza è la renna delle Svalbard, una sottospecie endemica di piccola taglia, un adattamento evolutivo per ridurre la dispersione di calore.

Questi cervidi si aggirano lentamente tra le valli alla ricerca dei radi foraggi estivi e dei licheni invernali, accumulando grasso durante la breve estate artica. Nonostante l’isolamento geografico, la popolazione di renne è numericamente robusta: si stima che ci siano circa 22.000 renne delle Svalbard in totale, suddivise in sub-popolazioni locali. Si tratta di un numero sorprendente, frutto di efficaci misure di protezione e della mancanza di grandi predatori terrestri.
Il predatore terrestre principale dell’arcipelago (oltre ovviamente all’orso polare, che merita un paragrafo a sé) è la volpe artica. Questo piccolo canide dal folto manto bianco in inverno (bruno-grigiastro in estate) è un opportunista onnivoro: caccia le specie di uccelli e i loro nidi, rosicchia carcasse lasciate dai predatori marini e approfitta di qualsiasi fonte alimentare disponibile.
Le volpi artiche delle Svalbard, insieme alle renne, sono tra i rarissimi mammiferi a resistere tutto l’anno su queste isole. In passato, questi animali venivano cacciati per la pelliccia, ma oggi la caccia è limitata e regolamentata: ogni anno ne vengono prelevati solo pochi esemplari da cacciatori locali autorizzati, senza impatti significativi sulla popolazione complessiva.
Residenti, migratori, e tentativi d’insediamento “artificiale”
Tra gli uccelli terrestri, il ptarmigan delle Svalbard (una pernice bianca artica) merita menzione speciale: è l’unico uccello che risiede tutto l’anno sull’arcipelago. Questo galliforme cambia piumaggio con le stagioni (bianco nevoso in inverno, bruno in estate) e si mimetizza perfettamente tra neve e rocce. In estate tuttavia le tundre delle Svalbard accolgono anche alcune specie di uccelli migratori di palude (come piovanelli e strolaghe) che vengono a nidificare approfittando del breve disgelo estivo.
Complessivamente, considerando sia residenti che migratori, sono state osservate oltre 200 specie di uccelli sull’arcipelago, ma solo una trentina vi nidificano abitualmente. Questo dimostra quanto sia selettivo e difficile l’ambiente terrestre artico: solo poche specie altamente adattate riescono a riprodursi con successo alle Svalbard.
Un elemento cruciale da sottolineare è l’interconnessione con il mare. Le scogliere costiere brulicano di uccelli marini nidificanti, il cui guano fertilizza il suolo, arricchendo la tundra di nutrienti marini. In questo modo la vita marina alimenta indirettamente la vita terrestre, creando un legame ecologico inscindibile tra terra e mare alle Svalbard.
Va ricordato che in passato l’uomo ha tentato di arricchire la fauna terrestre introducendo nuove specie, ma con scarso successo. Un esempio è il bue muschiato, imponente bovide artico che fu deliberatamente rilasciato alle Svalbard negli anni ’20, ma non riuscì a stabilirsi a lungo termine. Oggi, dunque, l’ecosistema terrestre delle Svalbard rimane semplice e vulnerabile, fondato sul delicato equilibrio tra pochi erbivori (renne), un piccolo predatore (volpe) e l’apporto stagionale degli uccelli migratori.
L’orso polare, il “Re dell’Artico”
In qualunque stagione e luogo delle Svalbard, sul ghiaccio come sulla terraferma, l’orso polare regna al vertice della catena alimentare. Definito non a caso il “re dell’Artico”, questo superpredatore è il più grande carnivoro terrestre del mondo (un maschio adulto può superare i 600-700 kg). Alle Svalbard, l’orso polare è da sempre il simbolo stesso dell’arcipelago: la segnaletica stradale triangolare con il profilo dell’orso e la scritta “Gjelder hele Svalbard” (“vale per tutta Svalbard”) avvisa i visitatori che ci si trova in territorio di orsi polari praticamente ovunque fuori dai centri abitati.

La popolazione di orsi polari che frequenta l’area delle Svalbard e il Mare di Barents è stimata attorno a 3.000 esemplari (un numero che supera la popolazione umana locale). Alcune recenti rilevazioni indicano anche cifre leggermente maggiori – circa 3.500 orsi – segno che, dopo decenni di tutela, il loro numero è rimasto stabile o in crescita moderata. In effetti, la caccia all’orso polare è proibita dal 1973 grazie a un accordo internazionale, e da allora questa specie è tornata a essere il padrone incontrastato dell’ecosistema artico.
Tuttavia, oggi l’orso polare affronta sfide senza precedenti: il cambiamento climatico è la minaccia principale per la specie. La riduzione dei ghiacci marini – la piattaforma di caccia per eccellenza dell’orso – costringe questi animali a percorrere distanze maggiori o a trascorrere più tempo a terra, con difficoltà crescenti nel procacciarsi cibo.
Gli scienziati avvertono che, di questo passo, l’Oceano Artico potrebbe diventare privo di ghiaccio in estate nel giro di pochi decenni, scenario che metterebbe in grave crisi la sopravvivenza dell’orso polare. Fortunatamente, alle Svalbard esistono ancora zone fredde (specialmente a est e a nord dell’arcipelago) dove gli orsi continuano a trovare ghiaccio e prede, ma la situazione viene monitorata attentamente.
La presenza costante dell’orso polare alle Svalbard ha anche un forte impatto sulla vita umana locale. Qui gli esseri umani non sono al vertice: l’orso non esita a considerare l’uomo una potenziale preda o almeno un intruso. Per questo la convivenza richiede regole ferree di sicurezza. È vietato per legge dare la caccia, avvicinare o disturbare gli orsi polari: chi intenzionalmente molesta un orso commette un reato grave punibile severamente. Al contempo, gli abitanti e i visitatori devono adottare misure di autoprotezione. Non è consentito allontanarsi dai centri abitati senza un mezzo di difesa adatto, tipicamente un fucile, e comunque è altamente raccomandato farsi accompagnare da guide esperte armate.

Ogni escursione fuori Longyearbyen o dagli altri insediamenti viene pianificata con attenzione: si viaggia in gruppo, si monta un campo dotato di recinzioni elettrificate anti-orso o sistemi di allarme, e si mantengono turni di guardia se si pernotta all’aperto. Queste precauzioni non sono eccesso di zelo, ma semplice buon senso: l’orso polare è estremamente potente, veloce e imprevedibile, può attaccare fulmineamente senza preavviso e anche un cucciolo di pochi mesi (magari curioso) rappresenta un pericolo mortale.
Proprio per evitare eccessi turistici, alle Svalbard non esistono safari agli orsi polari organizzati: non è etico né legale rincorrere un animale protetto per fotografarlo. Vederne uno in natura resta un privilegio raro e inestimabile, frutto principalmente della fortuna e di un comportamento paziente e prudente.
Il delicato rapporto fra uomo e natura
Oggi circa 2.500-3.000 persone vivono stabilmente alle Svalbard, distribuite principalmente nel capoluogo Longyearbyen (popolazione intorno ai 2.400 abitanti) e nel villaggio minerario russo di Barentsburg (circa 300 abitanti), oltre a pochi presidi scientifici come Ny-Ålesund. Questa comunità è composta da oltre 50 nazionalità diverse, un melting pot internazionale unico ai confini del mondo. La vita umana qui è scandita da condizioni ambientali estreme e sfide logistiche formidabili. Ogni genere alimentare deve essere importato via nave o aereo. Le navi cargo riforniscono regolarmente i negozi di Longyearbyen con prodotti provenienti dalla Norvegia continentale.

Allo stesso modo, qualsiasi materiale da costruzione o carburante arriva dall’esterno. Fino al 2023 l’energia elettrica di Longyearbyen proveniva da una centrale a carbone locale, l’ultima rimasta nell’Artico, ma la centrale è stata chiusa nell’ottobre 2023 per ragioni sia economiche che ambientali. Oggi la città è temporaneamente alimentata a diesel, in attesa di soluzioni rinnovabili più sostenibili. È la fine simbolica di un’era: per oltre 100 anni l’estrazione del carbone è stata la ragion d’essere degli insediamenti umani alle Svalbard, mentre ora l’economia locale si orienta verso turismo, ricerca scientifica e servizi, tentando un riequilibrio con la tutela ambientale.
Le sfide logistiche quotidiane alle Svalbard vanno dalla necessità di costruire case su pilastri (per non sciogliere il permafrost sottostante) alla gestione dei rifiuti in un contesto dove nulla si decompone facilmente. Il terreno perennemente gelato significa anche che non è possibile scavare tombe: i defunti vengono tipicamente trasportati in terraferma poiché la sepoltura a Longyearbyen è vietata a causa del permafrost che impedisce la decomposizione.
Questo ha creato la leggenda metropolitana secondo cui “è illegale morire alle Svalbard”; non c’è una legge in tal senso, ma la realtà è che non esiste un cimitero funzionante e chiunque sia gravemente malato o in fin di vita viene trasferito altrove. Analogamente, non si nasce alle Svalbard: l’ospedale locale è poco più che un presidio di pronto soccorso, privo di reparto maternità. In altre parole, l’arcipelago non è adatto a venire al mondo né a lasciarlo. La vita umana qui è transitoria.

Regole speciali
Convivere con l’ambiente artico significa anche accettare regole particolari a tutela dell’ecosistema. Ad esempio, a Longyearbyen è vietato tenere gatti domestici: questa norma curiosa serve a proteggere la ricca avifauna locale, impedendo a eventuali felini di cacciare gli uccelli migratori o i pochi uccelli stanziali. Gli abitanti possono avere cani (utili anche come cani da slitta o da orso), ma questi devono essere tenuti sempre al guinzaglio entro il perimetro urbano per evitare interazioni negative con la fauna selvatica.
Vi sono restrizioni anche sull’importazione di piante o semi, per evitare l’introduzione di specie invasive: ad oggi sono state catalogate 67 specie aliene vegetali portate involontariamente dall’uomo alle Svalbard, e le autorità stanno predisponendo piani per eradicarle e prevenire ulteriori ingressi. Queste misure possono sembrare severe, ma sono necessarie per preservare un ambiente così puro e delicato.
Infatti, le Svalbard oggi sono al contempo una sentinella climatica e un microcosmo di coesistenza tra sviluppo umano ed ecosistemi artici. Il riscaldamento globale qui è più veloce che altrove: le temperature medie sono già aumentate di 4-5 °C negli ultimi decenni e le proiezioni indicano +7-10 °C entro fine secolo nello scenario peggiore. Gli effetti sono tangibili. Ghiacciai in ritirata, piogge invernali anomale che causano strati di ghiaccio su cui le renne non riescono a pascolare (provocando morie), erosione delle coste e destabilizzazione del terreno gelato.
Nonostante tutto, la comunità umana alle Svalbard continua a fiorire. Longyearbyen oggi appare come una cittadina confortevole, con scuole, biblioteca, università internazionale (UNIS) e persino un birrificio artigianale – tutti segni di una vita normale in un luogo straordinario. Eppure, basta fare pochi passi fuori dall’ultimo lampione per trovarsi immediatamente nella natura selvaggia dell’Artico. Questa vicinanza intima tra uomo e natura fa delle Svalbard un luogo unico: qui l’umanità è ancora ospite.
In conclusione, la fauna delle isole Svalbard ci ricorda la capacità della vita di adattarsi agli angoli più remoti del pianeta. Allo stesso tempo, la piccola comunità umana che qui risiede dimostra che una convivenza rispettosa con la natura selvaggia è possibile, anche se richiede compromessi e attenzione costante.
Qualora voleste approfondire questi argomenti, vi segnaliamo le seguenti fonti da cui sono state tratte molte delle informazioni in questo articolo:
Enrico Peschiera