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Il viaggio del Linden

Enrico Peschiera ci porta a bordo del veliero Linden per l’incredibile avventura organizzata alle Isole Svalbard dal nostro partner FRAMTours.

L’arrivo a Longyearbyen

Dalle miniere alle crociere. A primo impatto, arrivato a Longyearbyen, ho avuto conferma di quanto sta accadendo nell’arcipelago più settentrionale d’Europa. Il turismo è la nuova industria, la terra non si scava più. Lo testimoniano i carrelli della funivia che dalla miniera numero 3, appena sopra l’aeroporto, portavano il carbone verso il porto: sono sospesi là, arrugginiti, nel punto in cui l’ultimo giro ha voluto che si fermassero.

Attraccate ci sono diverse navi, ma nessuna trasporterà i prodotti del sottosuolo. Soltanto persone, giunte fin qui per ammirare le isole coperte di ghiaccio (sempre meno). Una nave, ci fanno notare, si distingue per molte bandierine che la attraversano da prua a poppa. È il Norge di Re Harald, proprio in questi giorni venuto a fare visita ai suoi sudditi più remoti. Alle sue spalle, una fregata della Marina norvegese, grigia come il cielo che ci accoglie.

Norge ship norway
Il Norge © Osservatorio Artico

La sua presenza certifica quanto queste isole siano sempre più al centro dello scacchiere internazionale. La visita del re, infatti, coincide con quella di un altro ospite di peso, ma di tutt’altra casacca: il vescovo dei ghiacci Iyakov, il sacerdote per eccellenza della Russia di Putin nell’Artico, di passaggio anche lui in questi giorni alle Svalbard per benedire il “mare di Murman“. Del resto, la rivalità fra russi e norvegesi sulla sovranità dell’arcipelago non si è mai sopita, e dallo scoppio della guerra in Ucraina è tornata oggetto di scontro. Per quanto remote, queste isole sono la frontiera fra l’occidente e il gigante russo.

Un veliero che ricorda il passato

Ma, per mia fortuna, non sono qui per occuparmi di anziani monarchi e sacerdoti barbuti. C’è un’altra nave, un poco al largo, che cattura anche più attenzione del Norge. Un veliero che ricorda tempi lontani. È il Linden, la goletta più grande d’Europa attualmente in circolazione. Varato alle isole Åland nel 1993 dal disegno di una nave da esplorazioni polari del 1920, batte bandiera danese. Sarà la nostra casa per i prossimi giorni, portandoci a veleggiare per il lato ovest delle Svalbard.

Finalmente incontro Cristian Costa, fondatore di FRAMTours, insieme ai suoi tre collaboratori Matteo, Filippo e David. Sono guide esperte con anni di esperienza nell’Artico alle spalle, ma quello che traspare subito è il fatto che sono, innanzitutto, appassionati e innamorati del proprio lavoro e dell’ambiente a cui hanno deciso di dedicare la propria vita. Mollati i bagagli, ci portano subito al Museo di Longyearbyen, che ripercorre la storia dell’arcipelago dalle impronte dei dinosauri ai giorni nostri. Ci togliamo le scarpe per entrare, retaggio di tempi in cui il lavoro in miniera obbligava gli abitanti a lasciare i propri indumenti sull’uscio, per evitare di insozzare gli interni.

Partiamo dagli albori, letteralmente. Ci fanno notare che le Svalbard sono piene di carbone, e il carbone, in parole povere, è ciò che diventano gli alberi dopo qualche milione di anni. Ma alle Svalbard non ci sono alberi, siamo troppo a Nord perché un fuscello diventi grande. E allora? Merito della tettonica delle placche: per quanto assurdo, quando tutti i continenti erano uniti nella Pangea, l’arcipelago era molto più a Sud e ospitava una foresta tropicale. Difficile a credersi, ma è la geologia (bellezza!)

Gli abitanti del Grande Nord

Saltando in avanti di qualche milione di anni, scopriamo le storie degli uomini che per secoli hanno vissuto vite brutali in un ambiente a dir poco inospitale per l’uomo. Il primo leggendario fu l’olandese, Willem Barents, ha dato il nome al mare che separa l’arcipelago dall’Europa, che molti hanno attraversato nei secoli successivi principalmente attratti dalla rossa carne delle balene. Vite brutali per uomini brutali, cacciatori ai confini del mondo assediati dalla scorbutica mancanza di vitamine, che nonostante tutto hanno ucciso i grandi mammiferi del mare fino a farli quasi scomparire.

Esaurita una risorsa, l’uomo capì in seguito che la grande ricchezza di queste terre non risiedeva nella fauna che le abitava, ma nella terra stessa. E iniziò un’altra epopea, non meno brutale, che ancora non si è conclusa del tutto. La vita dei minatori, piegati nei cunicoli a scavare. Mestiere infame, ovunque esso si svolga, ma qui peggiorato dal freddo polare e dalle insidie di queste terre selvagge.

Finita la visita, è tempo di imbarcarsi. Il Linden ci aspetta là, in mezzo all’Isfjorden. Lo raggiungiamo con il gommone, che rende il tutto ancora più poetico. Saliamo la scaletta di corda. Eccoci finalmente sulla nave!

Ci accoglie Erasmus, il capitano. Chiarite le doverose misure di sicurezza, ci presenta la ciurma: ragazzi giovani, alcuni giovanissimi, che parlano inglese fra loro perché provengono da tutta Europa e oltre. Norvegia, Danimarca, Groenlandia, Germania, Filippine.

Pronti a salpare!

Bando alle ciance, è ora di spiegare le vele. Come un orologio, i ragazzi si mettono all’opera diretti da Erasmus e Björn, uno dei proprietari della nave, norvegese dal volto bonario, barba rossa e due occhi del colore del Mar Glaciale Artico. Ci invitano ad aiutare, ma il mio apporto risulta subito piuttosto ridicolo. Meglio starli a guardare, per entrambi.

E infine si parte, via col vento! Ci lasciamo alle spalle Longyearbyen e, dopo qualche ora di navigazione, consumata la nostra prima deliziosa cena a bordo del Linden, c’è tempo per un primo landing con il gommone. Scendiamo su una piccola spiaggia, sovrastatata da una scogliera quasi verticale su cui alcune renne cercano gli sparuti cespugli, lasciandoci increduli con la loro formidabile capacità di scalatori.

isole svalbard
© Osservatorio Artico

Una piccola miniera di marmo sbuca dalla montagna, rivelata dai resti di una breve ferrovia e dal relitto di una barca spiaggiata. Ce ne sono decine così, alle Svalbard. Fra la natura selvaggia e l’archeologia industriale, questi luoghi sono davvero surreali. In più, il sole non tramonta mai, e la mia testa fatica a comprenderlo. Sono stanco, ma il sonno fatica ad arrivare. Sarà per il sole di mezzanotte, o perché mi rendo conto di star vivendo un’esperienza indimenticabile.

Ma ora è davvero il caso di chiudere gli occhi, domani sveglia presto. Si va a Pyramiden, la città fantasma.

Enrico Peschiera

Osservatorio Artico © Tutti i diritti riservati

Enrico Peschiera
Genovese e genoano, ho studiato Relazioni Internazionali e oggi mi occupo di comunicazione aziendale. Scrivo qui perché l'Artico è una frontiera di profondi cambiamenti che meritano di essere raccontati.

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