Nel norvegese Repparfjord la corsa al rame per la transizione ecologica diventa una minaccia per ecosistemi e comunità indigene. Ne abbiamo parlato con l’attivista Sámi Ella Marie Hætta Isaksen
Quando la transizione affonda tra i fiordi
Là dove i fiordi norvegesi si aprono in acque limpide e silenziose, il Repparfjord rivela una storia che non ci si aspetta. Per comprendere meglio le vicende di questo fiordo situato nel comune di Hammerfest, in Norvegia, abbiamo raccolto le voci di Ella Marie Hætta Isaksen — musicista, attrice e attivista Sámi, protagonista delle recenti proteste contro la miniera di rame di Nussir — e di alcuni giovani di Natur og Ungdom (“Natura e Gioventù”, ndr), organizzazione norvegese impegnata nella protezione dell’ambiente. Le loro testimonianze mostrano come ciò che appare un progetto di sviluppo sostenibile sia percepito da chi vive il territorio come una minaccia concreta, capace di alterare equilibri delicati e tradizioni secolari.

Il rame, che è uno dei minerali necessari a garantire la transizione ecologica, si impiega per la produzione di veicoli elettrici, batterie, pannelli solari e turbine eoliche. A rendere il suo impiego così diffuso è la sua naturale conduttività: una caratteristica che contribuirà a farne raddoppiare la domanda entro il 2035, con costi ambientali e sociali spesso trascurati. Proprio nel Repparfjord la miniera di rame Nussir, pur essendo presentata come un progetto innovativo e sostenibile, foriero di nuovi e molteplici posti di lavoro, è in realtà una minaccia concreta tanto all’ecosistema quanto alle secolari tradizioni di chi lo abita.
In questo scenario di contrasti e incongruenze, le parole dei residenti diventano quindi la bussola da seguire per capire cosa significhi davvero convivere con la promessa di un futuro sostenibile: pescatori, giovani ambientalisti e comunità locali raccontano il lato nascosto di una transizione ecologica che, sotto il peso delle sue contraddizioni, rischia di affondare tra i fiordi insieme agli sterili minerari (i materiali di scarto solidi prodotti dalle operazioni di estrazione mineraria) che il governo norvegese ancora consente di scaricare nelle acque a ridosso della miniera.
La parola a Ella Marie Hætta Isaksen
Cosa rappresenta il Repparfjord per il popolo Sámi, in termini di cultura, mezzi di sussistenza ed ecologia?
“Repparfjord è un fiordo protetto a livello nazionale per la presenza del salmone selvatico e, intorno ad esso, sulle montagne, si estende il tradizionale pascolo delle renne del distretto di allevamento delle renne di Fiettar. Qui le renne partoriscono, pascolano e soggiornano per parte dell’anno. Si tratta di un’area preziosa sia per la cultura costiera dei Sámi che per gli allevatori di renne locali. La miniera di rame di Repparfjord minaccia entrambi.”
Quali sono i principali rischi e pericoli che la miniera di rame comporta per le comunità locali, l’ambiente e l’ecosistema del fiordo?
“Il progetto Nussir prevede lo scarico di 30 milioni di tonnellate di rifiuti minerari tossici direttamente nel Repparfjord, un ambiente marino ricco dal punto di vista ecologico e un fiordo protetto a livello nazionale per la pesca del salmone. Ciò avrà un impatto devastante sugli organismi che vivono sui fondali, sugli stock ittici e sulla pesca costiera locale da cui molti dipendono. Oltre a causare gravi danni ambientali, il progetto Nussir viola i diritti umani delle popolazioni indigene, poiché si trova su un terreno tradizionalmente utilizzato dai pastori Sámi per il pascolo delle renne da centinaia di anni.”
“Il Parlamento Sámi e i pastori di renne interessati si sono chiaramente opposti al progetto, ma non c’è stata alcuna consultazione o consenso reale da parte del popolo Sámi, violando di conseguenza la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui popoli indigeni, la Convenzione n. 169 dell’ILO e il principio del consenso libero, preventivo e informato.”

Cosa sperate di ottenere con questa protesta e che tipo di attenzione o sostegno internazionale vorreste ricevere?
“Il progetto Nussir minaccia l’esistenza stessa della comunità indigena locale di Repparfjord. Non accetteremo il sacrificio di un fiordo salmonifero protetto a livello nazionale e, di conseguenza, dei diritti delle popolazioni indigene. Pertanto, stiamo lavorando per fermare il progetto minerario, esortando gli investitori internazionali a ritirare i loro investimenti e spingendo il governo a revocare tutte le autorizzazioni concesse alla miniera. Abbiamo già ottenuto un grande sostegno internazionale e speriamo che più persone firmino la nostra petizione e condividano le informazioni online.”
Secondo la vostra petizione, è inaccettabile utilizzare la transizione verde per danneggiare gli ecosistemi e violare i diritti delle popolazioni indigene. Quale ruolo dovrebbero svolgere le popolazioni indigene nella transizione verde?
“Le popolazioni indigene svolgono già un ruolo fondamentale nella transizione verde. Le aree del mondo in cui la biodiversità è meglio preservata sono quelle in cui le popolazioni indigene hanno protetto la terra. Se vogliamo riuscire a ridurre le emissioni di gas serra e fermare il collasso ecologico, dobbiamo ascoltare e rispettare le conoscenze indigene.”
Quali cambiamenti o risultati vorreste vedere in Norvegia per quanto riguarda le politiche ambientali e i progetti minerari, sia a breve che a lungo termine?
“Vogliamo che la Norvegia vieti lo scarico in mare. La Norvegia è uno dei pochi paesi al mondo che ancora consente lo scarico in mare dei rifiuti minerari. È una vergogna incredibile per il nostro paese. Chiediamo inoltre che la Norvegia inizi a rispettare i diritti delle popolazioni indigene quando intende sviluppare nuove industrie. È il minimo indispensabile, ma sembra essere difficile per il governo.”

La voce di Natur og Ungdom
Sui cambiamenti auspicabili in Norvegia abbiamo chiesto il parere anche ai giovani membri dell’organizzazione non governativa Natur og Ungdom, attualmente impegnati nell’organizzazione di proteste contro il progetto minerario. Ecco le loro parole:
“La Norvegia è nota per essere uno Stato che protegge sia l’ambiente che i diritti umani. Se riusciremo a dimostrare al mondo che questa reputazione è del tutto immeritata, i politici norvegesi sentiranno la necessità di fermare questo progetto catastrofico e gli investitori ritireranno i loro investimenti. È qui che abbiamo bisogno dell’aiuto della comunità internazionale. Abbiamo bisogno che tutti coloro che dispongono di una piattaforma la utilizzino per attirare l’attenzione sulle gravi conseguenze della miniera di Nussir.”
In che modo le proteste contro la miniera di rame di Nussir riuniscono i giovani, le comunità locali e le voci dei Sámi in un’azione collettiva?
“La lotta contro la miniera di Nussir è una lotta contro la distruzione dell’ambiente, la colonizzazione della terra dei Sami e l’avvelenamento del Repparfjorden. Natur og Ungdom, Naturvernforbundet, NSR, NSR-N, le comunità locali e il distretto locale di allevatori di renne collaborano ormai da diversi anni, consentendoci di condividere informazioni importanti e di mettere in campo i nostri diversi punti di forza. Questa collaborazione è stata fondamentale per permetterci di portare avanti il nostro lavoro per così tanto tempo.”
Quali strategie si sono dimostrate più efficaci per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’impatto ambientale e sociale della miniera di Nussir?
“Natur og Ungdom e il resto della coalizione contro la miniera di Nussir hanno utilizzato una grande varietà di strategie per cercare di fermare il progetto. Si è trattato di iniziative di ogni tipo: dalla partecipazione alle udienze pubbliche sul caso all’organizzazione di manifestazioni locali, dagli incontri con i politici all’avvio di un dialogo con gli investitori, fino ad azioni di disobbedienza civile. Riteniamo che sia stata proprio la varietà delle strategie e l’ampio spettro di attori coinvolti ad aver portato Aurubis a ritirarsi dal progetto nel 2021 e Nussir a perdere la licenza edilizia nello stesso anno. Ora hanno una nuova licenza edilizia e nuovi investitori, ma crediamo che la nostra coalizione ci consentirà di vincere ancora una volta.”

Il prezzo della transizione
Nel ringraziare chi ha messo a disposizione il proprio tempo per rispondere a queste domande, non possiamo non notare come resti però aperto un interrogativo di fondo. Ci chiediamo cioè che transizione possa essere quella che sposta i suoi costi su comunità ed ecosistemi. La risposta, per molti, passa da due scelte nette: vietare lo scarico in mare e rendere effettivo il diritto al consenso libero, preventivo e informato delle popolazioni indigene, poiché solo in questo modo il rame per la transizione non diventerà il simbolo delle sue contraddizioni. E se la transizione ecologica vuole davvero essere guida – e non solo scorciatoia – deve ripartire da un rifiuto netto alle pratiche di sfruttamento del passato, che hanno provocato l’attuale crisi climatica e ambientale, e da un’adesione ampia e consapevole ai principi di giustizia climatica e sociale.
Virgilia De Cicco