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Può il Diritto Internazionale proteggere l’Artico?

Lo sviluppo dell’estrazione petrolifera offshore nell’Artico è ancora nella sua prima fase, con una produzione operativa in Russia e Norvegia, ma ancora in stand-by in Canada, Stati Uniti e Groenlandia. Poiché i tassi di produzione e le nuove scoperte dovrebbero aumentare nei prossimi anni, anche i rischi di una fuoriuscita di petrolio su larga scala nelle acque dell’Artico aumentano di anno in anno.

Le difficili condizioni operative, la mancanza di infrastrutture e le tecniche di pulizia nelle condizioni artiche esacerbano la necessità di garantire una solida regolamentazione delle attività petrolifere nella regione. Il Diritto Internazionale fornisce una struttura dettagliata che regola le eventuali fuoriuscite di greggio e idrocarburi, ma non è altrettanto rigida quando si tratta di perdite dovute alla costruzione di strutture di perforazione. Mentre i trattati internazionali stabiliscono obblighi vincolanti per cooperare nelle operazioni di recupero, esiste una lacuna nella regolamentazione per quanto concerne la prevenzione di tali fuoriuscite di petrolio. Il ruolo della regolamentazione non vincolante, o soft law, sta crescendo soprattutto in seno al Consiglio Artico.

Il rischio maggiore per gli ambienti marini artici è probabilmente rappresentato da una possibile fuoriuscita di petrolio su vasta scala che si verifica tipicamente dalla perdita di una cisterna o dalla perdita di controllo del pozzo quando la pressione di formazione supera la pressione applicata dalla colonna di perforazione. Considerando la potenziale perdita di grandi quantità di greggio, lo stesso materiale potrebbe sgorgare nell’oceano per mesi prima che si possa chiudere il pozzo.

Mentre la navigazione è ampiamente regolamentata dal Diritto Internazionale, principalmente nell’ambito dell’ordine internazionale dell’IMO, gli incidenti petroliferi a monte non sono ugualmente coperti dalla regolamentazione internazionale. Le perdite di idrocarburi derivano in gran parte dalle attività preparatorie delle infrastrutture, così com’è avvenuto nel disastro della Deepwater Horizon o, più vicino all’Artico, dell’Ekofisk Bravo in Norvegia.

100506-N-6070S-819 Gulf of Mexico (May 6, 2010) — Dark clouds of smoke and fire emerge as oil burns during a controlled fire in the Gulf of Mexico. The U.S. Coast Guard working in partnership with BP PLC, local residents, and other federal agencies conducted the “in situ burn” to aid in preventing the spread of oil following the April 20 explosion on Mobile Offshore Drilling Unit Deepwater Horizon. (U.S. Navy photo by Mass Communication Specialist 2nd Class Justin Stumberg/Released)

La maggior parte delle misure volte a ridurre al minimo il rischio per la salute umana e l’ambiente può essere suddivisa in “Prevenzione” e “Reazione”. Le misure di prevenzione sono progettate per evitare un incidente prima che ciò accada, mentre le operazioni di risposta sono finalizzate a contenere lo sversamento e a recuperare più petrolio possibile. Mentre è importante disporre di solidi sistemi di reazione, le analisi delle precedenti esplosioni, come Deepwater Horizon nel Golfo del Messico americano e Montara nel Mare di Timor al largo delle coste australiane, dimostrano che i fallimenti nella fase di prevenzione erano tra le cause degli incidenti stessi.

Le misure di prevenzione comprendono i requisiti relativi a materiali, progettazione e processi nella costruzione e nel funzionamento di un pozzo, compresi i sistemi di gestione della sicurezza. Le condizioni artiche giustificano requisiti di prevenzione aggiuntivi in ​​quanto potrebbero compromettere le prestazioni di determinati materiali e processi. Ad esempio, il cemento utilizzato per sigillare il pozzo potrebbe congelare prima di stabilire sufficiente resistenza alla compressione.

Lo sviluppo delle piattaforme di estrazione offshore non è in genere un soggetto desideroso di regolamentazione a livello internazionale. Mentre in molti hanno chiesto un “Trattato artico”, attualmente i seguenti accordi si applicano alla prevenzione e alla risposta alle perdite di petrolio nell’Artico:

  • la Convenzione internazionale sulla preparazione, la risposta e la cooperazione in materia di inquinamento da idrocarburi (OPRC),
  • l’Accordo di cooperazione sull’inquinamento, la preparazione e la risposta nell’artico (MOSPA)
  • la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS).

L’UNCLOS è il trattato più completo che disciplina le aree marittime. Mentre stabilisce una serie di disposizioni fondamentali relative ai doveri degli Stati per proteggere e preservare l’ambiente marino, la Convenzione si basa su ulteriori accordi di cooperazione globali e regionali e organizzazioni internazionali per formulare regole, standard e policy. Sebbene ciò garantisca la pertinenza del regolamento, potrebbe anche portare ad ambiguità riguardo a quali norme devono essere generalmente accettate, in particolare nel contesto regionale artico. Inoltre, esistono varie norme per quanto riguarda la navigazione,  ma non per le attività petrolifere a monte, il che limita l’applicabilità delle pertinenti disposizioni UNCLOS.

L’OPRC è un trattato globale che regola l’inquinamento da parte delle navi e dagli impianti petroliferi offshore. Il MOSPA è un accordo artico specializzato negoziato e adottato sotto gli auspici del Consiglio artico. Sebbene insieme creino entrambi un solido quadro per la cooperazione post-dispersione, nessuno dei due si concentra sulla prevenzione degli incidenti o sull’affrontare problemi di risposta specifici dell’Artico, come la mancanza di infrastrutture.

L’analisi completa su: The Arctic Institute

Traduzione a cura di Osservatorio Artico

Leonardo Parigi © Tutti i diritti riservati

Leonardo Parigi
the authorLeonardo Parigi
Sono Laureato in Scienze Politiche Internazionali all’Università di Genova e di Pavia. Sono giornalista pubblicista, e collaboro con testate nazionali sui temi di logistica, trasporti, portualità e politica internazionale.

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