Dopo mesi di dichiarazioni altalenanti e mosse contraddittorie, Trump e Putin si incontreranno nell’artica Alaska. Ma l’Ucraina resta ai margini.
Il faccia a faccia
Il presidente USA Donald Trump, che adora presentarsi come abile negoziatore, ha fatto del porre fine alla guerra in corso tra Russia e Ucraina uno dei principali obiettivi della sua presidenza in politica estera. Ma non è chiaro in che modo intenda davvero arrivarci, tra aperture, minacce, ultimatum, insulti pubblici e incontri riservati.
Nel corso della campagna elettorale, Trump aveva giurato più di una volta che sarebbe stato in grado di concludere la guerra in sole 24 ore, andando, possiamo dirlo, contro ogni buon senso. Un proclama poi da lui stesso ridimensionato, con un’ammissione di aver parlato in modo “sarcastico”.

Pochi giorni dopo l’insediamento prometteva nuovi dazi – la parola dell’anno – e dure sanzioni contro Mosca, salvo poi definire il presidente ucraino Zelens’kyj un “dittatore” e accusarlo di aver “iniziato la guerra” proponendo un accordo capestro che avrebbe concesso agli Stati Uniti il 50% delle risorse minerarie ed energetiche ucraine in cambio di sostegno.
Una clausola che, nata come diktat presidenziale, è poi diventata legge: il 30 aprile di quest’anno è stato infatti firmato il “Ukraine–United States Mineral Resources Agreement”, un accordo quadro che istituisce un fondo per la ricostruzione gestito congiuntamente e obbliga Kiev a versare agli Stati Uniti metà dei ricavi futuri dai propri giacimenti di minerali, gas e petrolio fino alla restituzione del debito.
Fra aperture e ultimatum
Il rapporto con Kiev si è ulteriormente deteriorato a febbraio, quando un incontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelens’kyj si è trasformato in un teatrino. Nel corso della riunione, il presidente ucraino è stato pubblicamente rimproverato non solo da Trump, ma anche dal vicepresidente J.D. Vance, con un secco “Have you said thank you once?” che ha fatto il giro del mondo. L’episodio è stato seguito dalla sospensione immediata degli aiuti militari e dell’assistenza di intelligence.
A luglio, dopo aver accusato Putin di “continuare a uccidere”, Trump ha rilanciato con una raffica di ultimatum: prima cinquanta giorni per accettare un cessate il fuoco, poi meno di due settimane. In parallelo ha ipotizzato l’invio di batterie Patriot a Kiev, ma a patto che fossero pagate da alleati europei e NATO. L’inizio di agosto ha alzato ulteriormente la tensione. Come farci mancare anche un po’ di retorica nucleare? Ed ecco che due sommergibili lanciamissili balistici statunitensi sono stati schierati vicino alla Russia in risposta a minacce atomiche di Dmitrij Medvedev, mentre l’inviato speciale Steve Witkoff incontrava Putin. Pochi giorni dopo, è arrivata anche una nuova stangata commerciale: dazi del 50% sull’India come punizione per le importazioni di petrolio russo che non si fermano.
L’incontro in Alaska
Ora, a pochi giorni dalla scadenza dell’ultimatum, il presidente statunitense e quello russo si preparano a sedersi allo stesso tavolo, per la prima volta dal 2021. L’appuntamento è fissato per Ferragosto. Zelens’kyj non è stato invitato e guarda con diffidenza a un negoziato che discuterà il futuro dell’Ucraina senza l’Ucraina. Circolano già ipotesi secondo cui gli Stati Uniti sarebbero pronti ad accettare modifiche territoriali in favore della Russia pur di chiudere il conflitto. Kiev, da parte sua, respinge questa prospettiva in modo decisivo.
La scelta di incontrarsi nel “grande stato dell’Alaska”, infine, non è casuale. Anchorage, sede designata per il bilaterale, offre una cornice che parla anche di Artico. È lo stesso luogo in cui nel 2021 si era svolto il primo incontro ad alto livello tra Stati Uniti e Cina dell’amministrazione Biden, e la Casa Bianca punta a ripetere quella formula: scegliere un luogo interno agli Stati Uniti ma vicino al territorio russo, così da facilitare la logistica e ribadire al tempo stesso una posizione di forza di Washington.

Per Trump, la scelta dell’Alaska ha anche un valore mediatico: può presentarsi in un contesto carico di significati, senza dover viaggiare fino a Mosca o in una capitale europea, sfruttando l’immagine dell’America che incontra i rivali “a casa propria”. Per Putin, arrivare ad Anchorage significa ottenere un riconoscimento di pari dignità, sedendosi al tavolo in un luogo che, anche se americano, si affaccia sulla stessa area polare che entrambe le Potenze rivendicano come spazio di influenza.
Il vertice di Ferragosto ad Anchorage avverrà quindi in uno stato che è anche un punto di riferimento per la presenza statunitense nell’Artico. L’Alaska è ricca di risorse e ospita infrastrutture civili e militari di rilievo, fattori che ne fanno una sede contemporaneamente funzionale e simbolica per un incontro di questo livello.
Tommaso Bontempi