Un’anomalia termica stagionale senza precedenti presso le Isole Svalbard dimostra al mondo intero come sarà il futuro dei ghiacciai artici in base ai drammatici scenari climatici futuri
Un avamposto di ricerca glaciologica
L’estate 2024 resterà negli annali della glaciologia come una delle più significative della storia recente dell’Artico. Secondo un nuovo studio pubblicato su PNAS lo scorso agosto, l’arcipelago delle Svalbard ha vissuto una stagione di fusione glaciale eccezionale, con stime di una perdita complessiva di oltre 61 gigatonnellate di ghiaccio, pari a circa l’1% del volume glaciale complessivo dell’arcipelago.
Un numero che può sembrare astratto, ma che in pratica significa la scomparsa di una quantità di ghiaccio pari a poco più del volume del Lago di Garda. Ancora più sorprendentemente questa perdita è pari a quella osservata sulla calotta della Groenlandia nello stesso periodo, nonostante quest’ultima sia circa 50 volte più grande delle Svalbard.
Tra fine luglio e inizio settembre 2024, un persistente schema di circolazione atmosferica ha portato masse d’aria calda e umida dal sud fino all’arcipelago, spingendo le temperature oltre ogni record recente. In soli 46 giorni, i ghiacciai hanno sperimentato una fusione così intensa da rappresentare un evento che, in condizioni naturali, si verificherebbe solo una volta ogni 1.500 anni.
Secondo i ricercatori, tuttavia, le cose stanno cambiando rapidamente. Eventi simili potrebbero diventare comuni entro la fine del secolo, trasformando quello che oggi è un’eccezione in una condizione ordinaria dell’Artico di domani.
Ghiacciai sotto stress
Le Svalbard sono da tempo considerate un laboratorio naturale unico per lo studio del clima polare.
Circa il 53% della superficie dell’arcipelago è coperto da ghiaccio, ma gran parte di questi ghiacciai si trova a quote relativamente basse, in prossimità della linea di equilibrio tra accumulo e fusione. Ciò significa che anche piccole variazioni di temperatura possono avere effetti enormi sull’intero sistema.
Il bilancio di massa glaciale, cioè la differenza tra il ghiaccio accumulato durante l’inverno e quello perso per fusione o distacco di iceberg, fornisce una misura diretta dello “stato di salute” dei ghiacciai. Nel 2024, questo bilancio è stato drammaticamente negativo. Il bilancio climatico di massa (quello legato direttamente a temperatura e precipitazioni) ha toccato le meno 42 gigatonnellate, sei volte peggiore della media del periodo 2000–2019.

A questo si è aggiunta una perdita frontale di quasi 20 gigatonnellate, dovuta al distacco di iceberg e alla fusione dei fronti marini. Il risultato è stato una perdita complessiva di 61,7 gigatonnellate. Per dare un’idea, solo la parte legata alla fusione atmosferica equivale all’intera massa glaciale della Svizzera. È un dato che racconta in modo eloquente la scala di quanto sta accadendo.
Quando i ghiacciai si sciolgono, non è solo il paesaggio a cambiare, ma è anche la Terra stessa a muoversi. Alle Svalbard, le misurazioni geodetiche (scienza che studia la forma della Terra e le sue dimensioni avvalendosi di misure astronomiche, gravimetriche, trigonometriche) effettuate a Ny-Ålesund e Longyearbyen hanno rilevato, tra luglio e settembre 2024, un innalzamento del suolo di circa 16 millimetri.
È un fenomeno noto come rebound isostatico, o rimbalzo della crosta terrestre, ovvero quando la massa di ghiaccio che grava sul terreno diminuisce, la crosta, più leggera, tende a sollevarsi. Il dato del 2024 è impressionante, essendo infatti il doppio rispetto alle medie del decennio precedente. È la prova tangibile di quanto rapidamente l’ambiente artico stia reagendo, non solo in superficie ma anche in profondità. Ogni tonnellata di ghiaccio persa alleggerisce letteralmente la crosta terrestre, accelerando i processi di assestamento del paesaggio.
Una cascata di effetti, dagli oceani agli ecosistemi
Il ghiaccio che si scioglie non sparisce semplicemente, ma diventa acqua dolce che scorre verso il mare, e questo ha effetti a catena su tutto l’ecosistema. Secondo le stime, il contributo delle Svalbard all’innalzamento del livello globale del mare nel solo 2024 è stato di 0,16 millimetri, oltre la metà del contributo medio annuale di tutti i ghiacciai artici registrato nel primo decennio del secolo.
Ma l’impatto più immediato si è avuto nei fiordi e nelle acque costiere. Il deflusso di acqua dolce ha raggiunto 72 gigatonnellate, più del doppio della media del periodo 1991–2020. Questo ha alterato la stratificazione delle acque marine, cambiando la salinità e la circolazione locale, modificando di conseguenza alcuni processi fondamentali per la vita marina, come la produttività primaria (cioè la capacità delle alghe e del fitoplancton di produrre energia) e la distribuzione di pesci, uccelli e mammiferi marini che dipendono dai fronti glaciali per nutrirsi.
Le acque più dolci e calde influenzano anche la formazione dei ghiacci marini invernali, con possibili ripercussioni su tutto il sistema artico. In altre parole, lo scioglimento del 2024 non è rimasto confinato alle Svalbard, ma ha avuto un’eco climatica ed ecologica che si estende ben oltre l’arcipelago. L’analisi dei ricercatori mostra che l’energia responsabile della fusione del 2024 proveniva per circa il 70% dai flussi di calore sensibile e latente, cioè dal calore e dall’umidità trasportati dalle masse d’aria calda. Durante il mese di agosto, correnti meridionali persistenti hanno spinto verso nord aria subtropicale, causando temperature fino a due gradi sopra la media a Longyearbyen.
Contemporaneamente, il Mare di Barents è stato colpito da una forte ondata di calore marino, con acque superficiali eccezionalmente calde che hanno contribuito a sciogliere ulteriormente i fronti glaciali. Un mix perfetto o, dal punto di vista del ghiaccio, disastroso, che ha amplificato la fusione. Eventi simili, ma di intensità minore, erano già stati osservati (come nel 2013), ma la portata del 2024 segna un salto di scala, il passaggio da episodi isolati a dinamiche potenzialmente ricorrenti.
Un assaggio del futuro artico
I modelli climatici della famiglia CMIP6, applicati al contesto delle Svalbard, mostrano un quadro chiaro e preoccupante. Le temperature medie estive del 2024, 8,5 °C nei mesi di giugno, luglio e agosto, rappresentano ancora oggi un’eccezione, ma non lo resteranno a lungo. Secondo lo scenario più severo (SSP5-85), condizioni simili verranno superate ogni anno già dal 2050, e anche nello scenario più ottimistico (SSP1-26), circa una estate su due entro il 2100 sarà più calda del 2024.

Ciò che oggi appare come un evento estremo, dunque, diventerà la normalità. Questo significa che i ghiacciai delle Svalbard, e con loro gran parte della criosfera artica, stanno entrando in una fase critica di vulnerabilità. Le conseguenze non riguarderanno solo le isole del nord, la fusione dei ghiacci artici, infatti, ha un impatto diretto sugli oceani globali, sui cicli climatici e, in ultima analisi, sulla stabilità del sistema Terra. Ogni tonnellata di ghiaccio che scompare contribuisce ad accelerare processi che incidono sul livello dei mari, sulle correnti oceaniche e sulle dinamiche atmosferiche che influenzano anche le nostre latitudini.
L’estate 2024 alle Svalbard non è stata soltanto un’anomalia meteorologica, ma un campanello d’allarme geologico e climatico. La perdita di massa glaciale, l’innalzamento della crosta terrestre, i cambiamenti nei mari e negli ecosistemi locali mostrano un sistema in rapido mutamento. Per la comunità scientifica, le Svalbard diventano sempre più un avamposto d’osservazione privilegiato, una sorta di “laboratorio naturale” in cui si può studiare in scala ridotta l’evoluzione futura della criosfera globale.
Quel che accade oggi tra i ghiacciai artici non è un fenomeno remoto o distante, è un riflesso anticipato del futuro climatico del pianeta. Se l’estate 2024 ci ha insegnato qualcosa, è che il tempo a disposizione per mitigare questi cambiamenti si sta rapidamente accorciando.
Pietro Boniciolli