Longyearbyen (Svalbard) è una città tanto isolata quanto attiva per il panorama di ricerca internazionale, data la sua posizione così ravvicinata al Polo Nord. Proprio qui, il 14 luglio scorso, Ane K. Engvik, ricercatrice di NGU Norges Geologiske Undersøkelse, ha svolto un coinvolgente incontro raccontando le sue spedizioni ad oltre 72°S.
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Norvegia e Polo Sud, un legame centenario
Già nel lontano 1898, la Norvegia prese parte a una spedizione invernale verso l’Antartide: si trattava di una missione britannica, con rappresentante nella parte dell’equipaggio norvegese l’esploratore Carsten Borschgrenvik. Successivamente, nel 1911, l’esploratore Roald Amundsen – simbolo dell’identità norvegese – raggiunse il Polo Sud, affiancando all’impresa pionieristica l’avvio di una nuova stagione di ricerca scientifica, destinata a diventare sempre più centrale a livello internazionale.
La caccia alle balene, “hvalfangst”, fu il principale motivo d’interesse che portò alla Norvegia a dichiarare il Dronning Maud Land come proprio territorio nel remoto continente bianco. Negli anni ’60 tale pratica venne fermata data l’impressionante riduzione della popolazione di balene, fortunatamente testimoniata in continua crescita negli anni successivi.

La svolta scientifica avvenne nel 1989, con la costruzione della base Trollstasjon, motivo d’orgoglio norvegese. Vede l’inizio dell’“overvintring” (“svernamento”) grazie al miglioramento delle infrastrutture, permettendo la pratica che prevede la permanenza di parte del personale durante la stagione invernale. Nel 2005, oltre all’inizio delle permanenze invernali, venne inaugurato l’aeroporto oggi più importante dell’Antartide, sempre in prossimità della base Troll.
Ane K. Engvik racconta l’Antartide
Alla domanda “quali pensi siano le principali differenze tra la tua prima spedizione, negli anni ’80, e la tua esperienza più recente?”, risponde: “durante l’inizio del mio percorso come ricercatrice, ormai 25 anni fa, ho avuto modo di partecipare a quella che fu la mia prima spedizione, coprendo l’incarico di “feltgeolog”, geologo che si occupa di mappare grandi territori. Abbiamo impiegato 3 mesi, di cui 3 settimane dedicate al solo trasporto via nave, prima di poter arrivare sul ghiaccio. L’accessibilità è sicuramente la differenza più significativa: oggi si raggiunge il continente in circa un giorno di volo, e si può restare anche per periodi più brevi grazie ai frequenti collegamenti aerei.”
Un altro aspetto cruciale è la crescente attenzione alla sicurezza. “Negli ultimi anni l’attenzione alla sicurezza è indubbiamente aumentata: durante la prima spedizione non esistevano procedure rigorose come oggi, e i rischi erano dunque maggiori. Ora l’addestramento include tecniche per il recupero in caso di incidente, lettura del ghiaccio, uso di corde e spostamenti sicuri. L’allenamento per soccorso e spostamento su ghiacciaio lo svolgiamo qui in Norvegia continentale.”

“Una frase che ripetiamo spesso, durante e anche in vista delle spedizioni, è rimasta invariata nonostante il passare del tempo: “Ikke brek beinet!” (Non rompere una gamba!). In ambienti tanto remoti la salute è la priorità assoluta. Affrontiamo spostamenti significativi grazie al supporto delle motoslitte, e per mesi dormiamo grazie ad attrezzatura all’avanguardia che ci permette di alloggiare in tenda, nonostante il clima inospitale. L’isolamento durante le fasi di rilevamento sul campo è spesso maggiore rispetto a quello della permanenza alla stazione Troll.

“Antarktis”: raccontare la scienza
Con il supporto della casa editrice “Orklana Forlag”, Engvik ha pubblicato il suo primo libro, “Antarktis”, disponibile in lingua norvegese. Riesce così a raccontare e divulgare quanto più la appassiona: il suo lavoro e l’immensa natura polare, con un linguaggio semplice e diretto, pensato per avvicinare un pubblico di tutte le età.

Nella zona orientale del continente si trovano gli affioramenti, aree di roccia esposta, più antichi, datati fino a 3000 milioni di anni. Vi si trovano circa 100 vulcani, alcuni ancora attivi, e imponenti catene montuose che custodiscono informazioni fondamentali sul supercontinente Gondwana, esistito 600-500 milioni di anni fa, grazie alla quale osserviamo oggi alcune importanti catene montuose. Il Polo Sud è un’area centrale per lo studio del nostro Pianeta non solo per la sua importante copertura glaciale: dai più grandi venti del mondo, agli uccelli più resistenti, l’Antartide si rivela un’area fertile per la ricerca internazionale.
Engvik ritiene che la collaborazione internazionale e interdisciplinare sia fondamentale per perseguire ricerca in tale area: il suo contributo si manifesta nella mappatura di porzioni del Dronning Maud Land, territorio norvegese. Il suo lavoro si concentra nell’analisi approfondita dei caratteri strutturali e petrografici delle rocce presenti nel territorio d’indagine: studiare i minerali nel tempo significa raccontare la loro storia, e con essa, la storia del nostro pianeta.
English version
Norway and the South Pole, a connection lasting over a century
Going back as far as 1898, Norway took part in a winter expedition to Antarctica. It was a British mission, with Norwegian explorer Carsten Borschgrenvik among the crew. Later, in 1911, explorer Roald Amundsen, one of Norway’s most symbolic characters, reached the South Pole, kicked off the beginning of a new era of scientific research, pairing that which his explorative ambitions. Years ahead, Antarctic research would go on to become increasingly important internationally.
Whaling, known as “hvalfangst”, was the main reason for Norway’s early interest in the white continent, leading to the claim of Dronning Maud Land as Norwegian territory. In the 1960s, whaling was stopped due to the dramatic decline in whale populations, which, fortunately, have been steadily recovering in the years since.
A scientific turning point came in 1989, with the construction of the Trollstasjon, a source of national pride for Norway. This marked the beginning of “overvintring”, thanks to improved infrastructure, allowing personnel to remain on site even during the harsh winter. In 2005, in addition to beginning winter stays, the most important airport in Antarctica was inaugurated close to Troll Station.
Ane K. Engvik on Antarctica
When asked, “What do you think are the main differences between your first expedition in the 1980s and your most recent experience?”, she answered: “At the start of my career as a researcher, now 25 years ago, I had the chance to take part in my first expedition, serving as a ‘feltgeolog’, or field geologist, responsible for mapping vast areas. It took us 3 months, including 3 weeks just for the sea voyage before even reaching the ice. Accessibility is by far the most significant difference: today, you can reach the continent in about a day by air, and shorter stays are now possible thanks to frequent flights.”
Another crucial aspect is the increasing focus on safety: “In recent years, the focus on safety has definitely increased. During my first expedition, there were no strict procedures as there are today, so the risks were much higher. Now, training includes rescue techniques, ice reading, rope use, and safe movement. Glacier rescue and travel training is done here in mainland Norway.”
“One phrase we often repeat, both during and before the expeditions, hasn’t changed over time: ‘Ikke brek beinet!’ (Don’t break a leg!). In such remote environments, health is the absolute priority. We cover significant distances with the support of snowmobiles, and for months we sleep in tents using state-of-the-art equipment that allows us to endure the hostile climate. Isolation during field survey phases is often even greater than during stays at the Troll Station.”
“Antarktis”: Communicating Science
With the support of publisher Orkana Forlag, Engvik published her first book, “Antarktis”, available in Norwegian. This allows her to share and communicate her greatest passion – her work and the vast polar nature – using simple, direct language aimed at readers of all ages.
In the easternmost part of the continent lie the oldest rock outcrops, dating back as far as 3 billion years. The region also contains around 100 volcanoes, some still active, and massive mountain ranges that hold key information about the ancient supercontinent Gondwana, which existed 600–500 million years ago. These ancient geological structures help explain the formation of several major mountain ranges we see today.
The South Pole is a central area for studying our planet, not only because of its massive ice coverage: from the strongest winds on Earth to the most resilient birds, Antarctica proves to be a fertile ground for international research. Engvik believes that international and interdisciplinary collaboration is crucial for advancing research in such areas. Her contribution lies in the mapping of portions of Dronning Maud Land, Norwegian territory in Antarctica. Her work focuses on the structural and petrographic analysis of rocks in the study area: studying minerals through time means telling their story and with it, the story of our planet.
Elena Ciavarelli
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