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Artico Nostrum, perseguire la pace in tempi di tensione

Dall’esperienza norvegese di mediazione all’idea di un “Artico Nostrum”, il dialogo con Marcela Douglas Aranibar esplora come l’Alto Nord possa diventare un laboratorio di pace in un tempo di competizione globale

Per un modello di pace sostenibile

Alla luce del recente Arctic Security Summit 2025, l’Artico sembra destinato a diventare l’estensione naturale di conflitti geopolitici esistenti, caratterizzati da territorialità aggressiva e manipolazioni demografiche tramite atti di guerra ibrida, ma se fosse invece possibile costruire già da oggi un “Artico Nostrum”?

L’idea non è nuova, il rapporto “Polar Perspectives” del Wilson Center parla di un Artico “nuovo”, come di una zona di competizione non-violenta e attivamente collaborativa. Un tale spazio aprirebbe possibilità di risoluzioni dirette tra i grandi protagonisti artici, allentando le tensioni nelle altre aree del globo che attualmente fungono da proxy, mediatori e stati cuscinetto geografici, sia politici che economici.

“Dobbiamo parlare di più della pace, perché questa non si realizza da sola… bisogna investirvi tempo e risorse e proprio ora, in questa parte del mondo, non vi abbiamo mai investito così poco.”

Sono le parole di Marcela Douglas Aranibar, dal 2019 Direttrice del Centro di Studi sulla Pace, l’unico al mondo con questo focus che afferisce direttamente ad un ateneo, l’Università Artica della Norvegia, dove viene offerto il corso magistrale di Pace e Trasformazione dei Conflitti. 

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Marcela Douglas Aranibar

Nata in Cile, ha conosciuto da subito il volto della repressione e dell’autoritarismo in quello di Augusto Pinochet. Nel 1976 emigra con i genitori dal Sud al Nord del mondo, in Norvegia. Vivrà come rifugiata nel meridione del paese scandinavo fino al 1997, quando si sposterà ancora più a nord, nell’Artico ed in particolare a Tromsø, per poi studiare Antropologia Visuale. Marcela non dimentica, tutt’altro. Fortemente influenzata dal pensiero di Hannah Arendt, torna in Cile per una ricerca sul campo, immergendosi come etnografa nell’esperienza umana delle comunità totalitariste, interrogandosi sul come e perché la dignità umana può precipitare nell’incubo

“Penso che dovremmo essere curiosi e parlare di più gli uni con gli altri, per cercare di comprendere altri modi di pensare, altre prospettive. Penso sia importante.”

A lei abbiamo chiesto della pace nell’Artico e non solo, di cosa l’Artico rappresenta per la pace e del ruolo del Regno di Norvegia come mediatore globale al termine del suo recente mandato (2022-2025) a capo del Concilio Artico.

L’Alto Nord norvegese come modello di pace

Marcela, perché una tradizione di studi sulla pace a partire dall’Artico?

“Parte tutto dal contesto culturale, dalla grande comunità indigena [Sàmi] nel Nord, dalla necessità di avere un dialogo e, ovviamente, di parlare di riconciliazione… Qui abbiamo avuto storicamente anche uno stretto legame con la Russia, tramite ciò che possiamo definire cooperazione diretta, persona-a-persona. La regione del Finnmark fu liberata [dall’occupazione Nazista] anche grazie ai soldati russi e questo creò delle simpatie che consentirono di risolvere questioni delicate con il dialogo. Dopo la Guerra Fredda, c’era molta tensione e fu così – particolarmente a Kirkenes – che iniziò la cooperazione persona-a-persona, con giovani che attraversavano i confini. Erano vicini e si sposarono.”

Che tipo di lavoro per la pace hai condotto negli ultimi anni?

“Ho lavorato molto con i rifugiati, per capire i loro bisogni. In Norvegia l’inclusione è molto importante. Avere una società inclusiva, qui dove il welfare si è sviluppato, consente di aiutare i rifugiati in molti modi. Ovviamente nulla è perfetto, ma è importante farlo. Abbiamo un alto grado di fiducia nel prossimo.”

In che modo le iniziative Norvegesi nell’Artico definiscono un modello d’ispirazione per le altre nazioni impegnate nella promozione della pace?

“Anzitutto con l’esempio portato dal Parlamento Sàmi, ovvero la costruzione di istituzioni che sono sostenibili, che danno voce e reppresentanza alle questioni locali, come quelle Sàmi. Tali istituzioni sono molto importanti… In Norvegia abbiamo anche il cosiddetto Concilio Risolutivo [“Conflict Council”]. In tutta la nazione, se ad esempio due vicini di casa hanno un conflitto, come può essere la gestione della rimozione della neve, questa istituzione fornisce mediatori e facilita il dialogo tra le parti.”

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Foto: Valentina Tamborra

“Ovviamente non sono i mediatori a fornire una soluzione dall’alto, sta alle persone trovarne una che vada bene per loro. Questa è la pratica del dialogo in caso di disaccordo, con l’obiettivo comune di trovare una soluzione. La risoluzione non viene imposta da un’autorità, ma viene coltivata direttamente dal basso, da coloro che sono in conflitto.”

Credi che questo modello di fiducia contribuisca ad ottenere risultati in altre parti del mondo?

“Si. È basato molto sul dialogo, in stretta collaborazione con la società civile. Il Nansen Fredssenter, ad esempio, forma esperti in grado di far dialogare formazioni che non partono da una base di fiducia reciproca. Da molti anni lavorano in diverse aree del Cile dove, come in Maule ad esempio, la fiducia delle grandi comunità indigene è stata negativamente colpita dal regime militare, al punto da non fidarsi più nemmeno del resto della società Cilena. Così, i membri del Nansen stanno facilitando il dialogo tra queste parti della società civile, li nel Sud, perché hanno queste competenze.”

Artico Nostrum

L’Artico navigabile dei prossimi decenni appare all’orizzonte come una nova terra dove, all’approdo, s’impone una scelta di relazioni internazionali consapevole, piuttosto che dettata da fatalismo geopolitico: sarà un crocevia cooperativo d’incontro e risoluzione tensiva, o l’ennesimo teatro bellico?

Dalla fine della Guerra Fredda, l’Artico è stato caratterizzato da cooperazione multilaterale e relativa stabilità sociale e territoriale. L’istituzione del Consiglio Artico nel 1996 ha segnato una tappa significativa in questo percorso, aprendo un tavolo per gli otto stati artici – Canada, Danimarca (inclusa la Groenlandia), Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti – per collaborare su temi come lo sviluppo sostenibile e la tutela ambientale.

L’esclusione della Russia dal Consiglio a seguito dell’ “operazione speciale” in Ucraina ha minacciato di rallentare significativamente i progressi operativi del Consiglio, eppure nonostante le tensioni, il Regno di Norvegia ha navigato con caparbietà ed esperienza le complicazioni diplomatiche, mantenendo il Consiglio operativo durante la sua presidenza dal 2022 al 2025.

Il Ministro degli Esteri norvegese a guida del Consiglio durante il mandato, Espen Barth Eide, ha operato per mantenere forte ed operativo il forum Artico, dimostrando la resilienza di questo modello cooperativo d’importanza globale, fondato su ricerca scientifica condivisa, sul dialogo democratico, soluzioni ecosistemiche congiunte e – non ultima – la promozione della pace.

arctic council flags

Marcela, affinchè l’Artico si consolidi come un “Mare Nostrum” di cooperazione, piuttosto che un’arena di conflitti, quale credi che sia l’approccio norvegese per una pace artica?

“La chiave è nel contesto. C’è sempre un contesto, quando si parla di pace, e qui il contesto è l’Artico… La stabilità artica dipende dagli equilibri tra le grandi potenze, come la Russia, gli Stati Uniti e la Cina, ed è possibile mantenerla tramite approcci di pace come il dialogo… Credo che il dialogo abbia la sua forza. Guardare le cose dal punto di vista dell’altro, anche se non si è d’accordo, viene spesso considerato una mossa ingenua e pericolosa, ma io credo in questo approccio. Così come ci ho creduto in Cile, per conoscere e capire coloro che hanno supportato il colpo di stato militare. Capire perché, capire come.

E se quindi fosse possibile realizzare un oceano democratico che possa dare equilibrio al Nord, rispondendo a domande come l’autodeterminazione politica, il commercio e la ricerca, domande sollevate non solo dai grandi protagonisti, ma anche dalla pluralità globale in costante crescita? 

Tale risultato potrebbe rappresentare un punto di partenza per la gestione di altre aree di tensione internazionale, confermando la validità di un dialogo democratico regionale in grado di ottemperare alle sue responsabilità globali.

La militarizzazione in atto è un’esortazione a perseverare nelle pratiche di pace. La mia preoccupazione è che nella lotta per le risorse, la pace venga messa da parte, perché richiede impegno ed energie. È un vero e proprio investimento.”

Valerio Graziano

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