L’attacco ucraino, forse il più grave dall’inizio del conflitto, ha colpito quattro basi aeree in profondità nel territorio russo, tra le quali l’artica Olenja. Tra i velivoli distrutti, 41 bombardieri strategici a capacità nucleare.
In profondità nelle capacità strategiche russe
Nella mattinata di domenica 1 giugno, l’Ucraina ha condotto il più grave attacco mai registrato contro l’infrastruttura aeronautica russa. I droni, piccoli ma potenzialmente devastanti, sono ormai al centro della scena militare contemporanea. Stanno imponendo, non solo alle forze coinvolte direttamente nel conflitto ma anche agli eserciti di tutto il mondo, una revisione accelerata delle dottrine operative, trasformazioni epocali sul piano strategico, tattico, addestrativo e degli investimenti.
Il ronzio degli “uccellini” – così sono stati battezzati dai militari russi impegnati in prima linea – è presto diventato il vero suono della morte, più delle ritmiche raffiche delle mitragliatrici o delle cadenzate esplosioni dei proiettili di artiglieria. Tanto caratteristico da scatenare, da solo, reazioni da stress post-traumatico tra i soldati coinvolti.

Un’operazione pianificata per mesi
Al di là del bombardare città, del distruggere infrastrutture sensibili o del colpire singole unità militari ben nascoste in trincee o in macchie di alberi, i droni hanno però compiuto un “salto” nella loro micidiale utilità. Tristi protagonisti di questa guerra che si trascina ormai da quasi tre anni e mezzo, e che continua ad apparire sempre più lontana da una possibile conclusione, i droni ucraini hanno simultaneamente colpito, con una precisione quasi chirurgica, almeno 41 bombardieri pesanti e strategici.

I bombardieri colpiti sono in grado di trasportare e sganciare testate nucleari, e si trovavano fermi in pista. Questo attacco infligge così un colpo serissimo alle forze strategiche russe. Questo nonostante i colloqui che si stanno svolgendo proprio nel momento in cui scriviamo, a Istanbul tra le delegazioni delle due parti.
Non si è trattato di velivoli fermi su una o due basi, magari vicine al confine, ma su ben quattro basi diverse: Belaja, Djagilevo, Olenja e Ivanovo. Quello di Belaja è un aeroporto militare situato addirittura in Siberia, nella regione di Irkutsk, a circa 200 chilometri dal confine con la Mongolia. A quasi 5000 chilometri da Kiev, a voler sottolineare l’eccezionalità dell’operazione Pavutina o “tela di ragno“, come è stata battezzata.
Tra gli aerei distrutti figurano A-50, Tu-95, Tu-22 M3 e Tu-160. Tra questi, i bombardieri Tu-95 e Tu-160, noti con i nomi in codice NATO Bear e Blackjack, rappresentano in particolare i fiori all’occhiello delle forze strategiche russe. I danni sono terribili. Secondo quanto dichiarato dai Servizi di sicurezza ucraini, sarebbe stato neutralizzato il 34% della forza aerea strategica russa, portando il conto dell’operazione, per Mosca, a ben 7 miliardi di dollari statunitensi. Sono cifre tutte da confermare, ma già così si tratta di un danno devastante. E tutto è partito da molto in profondità nel territorio russo.
L’Artico al centro della guerra dei droni
Nel caso della base aerea di Olenja, per noi particolarmente interessante in quanto situata nell’artica Regione di Murmansk (anche se i video che circolano in rete non sono, al momento, ancora stati confermati) lo sciame di droni sarebbe partito da un camion parcheggiato nelle immediate vicinanze della base, addirittura “dall’altra parte della strada“. La base di Olenja è una componente fondamentale della struttura militare russa, sia dal punto di vista difensivo sia dal punto di vista offensivo, poiché da qui, anche in virtù della relativa vicinanza geografica, decollano molti degli aerei impegnati negli attacchi contro l’Ucraina nel corso del conflitto in atto. La base è ben nota anche l’importanza strategica della penisola di Kola, una delle aree più militarizzate del Paese.

Le metafore si sono rincorse. Questo attacco ha assunto per molti, nel dibattito russo, il contorno di una Pearl Harbour, volendo richiamare, con questo paragone, le dinamiche di sorpresa e vulnerabilità statunitensi nel corso della Seconda guerra mondiale. E forse anche l’immediata intenzione di ottenere una rivincita sul campo, così come i camion carichi di contenitori in legno pieni di droni, mimetizzati da capanni da giardino, sono apparsi fin da subito come dei veri e propri “Cavalli di Troia”.
Non sono ancora giunte dichiarazioni ufficiali di alto livello sugli eventi di ieri. Resta quindi da vedere quale sarà la reazione politica, se ci saranno effetti sul campo e, soprattutto, che peso avrà questo attacco nei negoziati di pace attualmente in corso tra le due parti.

Certo è che un attacco di questa portata, che i russi immaginano ben strutturata anche con il supporto di altre nazioni almeno a livello tattico, diventa un’operazione da manuale, che farà storia anche sull’utilizzo di piattaforme non-militari (se i camion possono essere usati come base per il lancio di droni, così può esserlo una nave porta-container). In attesa dei prossimi sviluppi.
Tommaso Bontempi
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