Svalbard

Gli occhi del mondo sulle Svalbard

Tra rivendicazioni strategiche e interpretazioni divergenti del Trattato del 1920, le Svalbard si confermano uno snodo cruciale della competizione geopolitica nell’Artico.

Chi comanda le Svalbard

«Quali regole si applicano al Nord?». La domanda, posta dal presidente americano Donald Trump al Primo Ministro norvegese Jonas Gahr Støre durante un recente incontro, dà un’ulteriore idea (qualora la questione Groenlandia non fosse bastata) di quanto l’attuale amministrazione statunitense stia approcciando il “dossier Artico” con una postura alquanto spregiudicata.

Støre – raccontando l’episodio – ha sorriso e risposto che “al Nord le regole si applicano eccome”, sottolineando che l’Artico non è affatto una “terra senza legge”. Dietro l’aneddoto apparentemente leggero traspare un fatto significativo: oltre alle provocanti dichiarazioni sulla Groenlandia che hanno alzato la tensione con la Danimarca, il roboante presidente americano non manca di manifestare il proprio interesse per l’Alto Nord in generale. E, senza troppe remore, arriva a mettere velatamente in discussione la sovranità norvegese. Sovranità che, seppur con la sua peculiarità, è ben definita dal Trattato delle Svalbard, che da ormai un secolo definisce il perimetro legislativo delle isole più settentrionali d’Europa.

L’arcipelago delle Svalbard, situato tra la Norvegia e il Polo Nord, è oggi al centro di  nuove attenzioni, diventando un importante banco di prova delle relazioni internazionali nell’Artico. Ma gli interessi sovrapposti dei tanti attori che gravitano intorno al remoto arcipelago ci consegnano un quadro tutt’altro che semplice. Diffidare di facili spiegazioni, insomma.

Cent’anni di Trattato delle Svalbard

La sovranità norvegese sulle Svalbard è chiaramente definita dal Trattato delle Svalbard del 1920. “Il malinteso più comune riguarda lo status delle Svalbard come spazio condiviso o l’idea che il loro status giuridico sia ambiguo” – ha osservato Andreas Østhagen, ricercatore presso il Fridtjof Nansen Institute. Contrariamente a certe narrazioni, non esiste alcun vuoto giuridico. La Norvegia esercita piena e indiscussa sovranità sulle Svalbard, con esclusivo diritto di giurisdizione sul territorio, così come affermato espressamente dal trattato e ribadito dalle autorità di Oslo.

Longyearbyen, Svalbard. Foto: Flickr.com

Le leggi e i regolamenti norvegesi valgono a tutti gli effetti sull’arcipelago, un punto che persino la Russia – pur con la sua retorica muscolare, come vedremo – non nega formalmente. Il Trattato delle Svalbard, firmato a Parigi il 9 febbraio 1920 da un ristretto gruppo di Paesi (tra cui Norvegia, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia, Giappone e altri) e oggi aperto a 48 nazioni, attribuì alla Norvegia la sovranità su queste isole artiche. L’ultima ad aderire, vale la pena menzionarlo, è stata la Turchia, alcune settimane fa.

In cambio, Oslo si impegnò a garantire l’eguaglianza di trattamento dei cittadini di tutti i firmatari nell’accesso e uso economico delle Svalbard. Questo significa che imprese e cittadini di qualunque Stato firmatario possono vivere, lavorare e svolgere attività economiche sull’arcipelago senza discriminazioni nazionali. Tale apertura spiega la presenza storica di insediamenti russi e di altre nazionalità sulle isole. È importante chiarire, tuttavia, che “eguaglianza” non equivale ad assenza di regole: qualsiasi nuova attività economica o industriale – ad esempio l’apertura di una miniera – deve ottenere l’autorizzazione delle autorità norvegesi, nel rispetto delle leggi nazionali vigenti. 

La Norvegia infatti regolamenta tutte le attività alle Svalbard, dal turismo alla ricerca scientifica, e ha introdotto norme rigorose e coordinate che talvolta rendono complicato l’agire di altri Paesi sul territorio. Non è una condizione di privilegio unilaterale, ma l’essenza stessa della sovranità norvegese sull’arcipelago, esercitata però nei limiti e negli obblighi stabiliti dal trattato del 1920.

Scambi di accuse e provocazioni

Se dal punto di vista legale la sovranità norvegese sulle Svalbard è indiscussa, ciò non ha impedito l’emergere di tensioni geopolitiche e narrazioni contrastanti, che dallo scoppio della guerra in Ucraina hanno visto una lenta escalation. Negli ultimi anni Mosca ha moltiplicato le azioni provocatorie sull’arcipelago, sfruttando il suo status demilitarizzato per mettere alla prova la pazienza di Oslo e della comunità internazionale. 

Un episodio emblematico è avvenuto il 9 maggio 2023, quando a Barentsburg – il principale insediamento russo – si è tenuta una parata militare in stile Victory Day, guidata addirittura dal console generale russo, per commemorare la vittoria sovietica nella Seconda guerra mondiale.

Pochi mesi dopo, un’altra iniziativa ha sollevato preoccupazione: nel giugno 2024 il direttore della società statale russa Trust Arktikugol – che gestisce le attività russe alle Svalbard – si è arrampicato in cima a un monte a Pyramiden, ex cittadina mineraria sovietica abbandonata, e ha issato una bandiera dell’Unione Sovietica di dimensioni imponenti. Attraverso questi gesti di nostalgico revanchismo, Mosca sembra voler riaffermare simbolicamente una presenza forte e seminare dubbi sullo status quo.

Il busto di Lenin a Barentsburg, città russa delle Svalbard.

Parallelamente alle azioni scenografiche, la Russia ha recentemente lanciato accuse formali contro la Norvegia, sostenendo che Oslo starebbe violando il Trattato delle Svalbard con una presunta “militarizzazione strisciante” dell’arcipelago. Secondo la versione russa, infrastrutture “dual use” (civili ma potenzialmente utilizzabili anche a fini bellici) starebbero operando alle Svalbard e permetterebbero perfino condotte ostili verso “paesi terzi”. 

Lo scorso marzo, Mosca ha intensificato la pressione diplomatica sulla Norvegia, convocando l’ambasciatore norvegese per protestare contro presunte attività militari nelle isole, considerate una violazione del Trattato del 1920. La Norvegia ha respinto le accuse, ribadendo la propria piena adesione al trattato. In questo senso, il dibattito russo si sta muovendo su due binari: da un lato, Nikolai Patrushev, stretto collaboratore di Putin e noto per le sue posizioni dure, ha invocato il rafforzamento militare contro l’Occidente; dall’altro, l’imprenditore vicino al Cremlino Kirill Dmitriyev ha auspicato un accordo con Washington per evitare una nuova guerra fredda nell’Artico. 

Due narrazioni parallele che, secondo alcuni analisti, sono complementari nel tentativo di dividere l’Occidente e consolidare l’influenza russa nella regione.

Solo esercitazioni

I fatti, tuttavia, per ora smentiscono la narrazione del Cremlino: sulle Svalbard non vi sono basi militari né truppe NATO – ciò sarebbe esplicitamente contrario al trattato – e l’arcipelago non rientra in alcun piano bellico della Norvegia o dell’Alleanza Atlantica. 

La presenza militare norvegese alle Svalbard è limitata alle esercitazioni e alle normali attività di pattugliamento marittimo della Guardia Costiera nelle acque intorno alle isole, oltre che un supporto logistico in caso di emergenze civili. Al contrario, ad agitare le acque è proprio la Russia, che sembra mal digerire la fine della passata gloria sovietica in quelle latitudini e vede ora le Svalbard – che i russi non hanno mai smesso di chiamare “Spitzbergen” –  come un terreno di prova per ribadire la propria assertività contro l’Occidente.

La fregata “Otto Sverdrup” pattuglia le coste delle Svalbard. Foto: Forsvaret

Tuttavia, le rimostranze russe, pur creando un certo attrito diplomatico, non mettono per il momento in dubbio la sovranità norvegese sulle Svalbard. Semmai, come avverte Østhagen, il pericolo è che il cumularsi di piccoli contenziosi sulle interpretazioni del trattato possa nel tempo alimentare la falsa percezione di uno status fragile o conteso dell’arcipelago, cosa che Mosca potrebbe sfruttare per minare l’autorità di Oslo. 

Scienza e cooperazione

Le Svalbard non sono solo teatro di rivalità geopolitiche: da decenni rappresentano anche un laboratorio scientifico a cielo aperto e un esempio di cooperazione internazionale in ambito polare. Proprio grazie al Trattato del 1920, che ha aperto l’arcipelago alla presenza di diversi Paesi, queste isole ospitano oggi importanti infrastrutture di ricerca condivise. A Ny-Ålesund, insediamento situato nell’estremo nord-ovest di Spitsbergen, è nata una vera e propria cittadella della scienza. Qui diverse nazioni gestiscono stazioni di ricerca per studiare il clima, l’ambiente artico, l’atmosfera e la geologia. L’Italia gioca un ruolo di primo piano con la Base artica “Dirigibile Italia”, una stazione scientifica inaugurata nel 1997 e gestita dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). 

Ma non c’è solo l’Europa sulle Svalbard. Anche la Cina ha individuato in queste isole un avamposto strategico per la ricerca polare. Già nel luglio 2004 Pechino ha aperto a Ny-Ålesund la stazione “Yellow River”, primo avamposto scientifico cinese nell’Artico. Da allora la presenza cinese è cresciuta, con squadre di ricercatori che ogni anno conducono campagne scientifiche sulle isole.

L’ingresso della “Yellow River Station”, la base di ricerca cinese a Ny-Alesund, Svalbard.

Questa partecipazione, se da un lato arricchisce la ricerca internazionale, dall’altro viene osservata con attenzione dalle autorità norvegesi e occidentali. La trasparenza delle attività cinesi è oggetto di dibattito, e nel 2022 persino alcuni membri del Congresso USA hanno suggerito che Oslo dovrebbe vigilare meglio sui progetti cinesi alle Svalbard, preoccupati che possano celare scopi non puramente scientifici.

In un recente caso curioso, la Norvegia ha chiesto alla Cina di rimuovere due statue di leoni di pietra poste all’ingresso della base Yellow River – dono simbolico di Pechino – interpretandole come un segnale eccessivo di “marcatura” territoriale poco consono allo spirito neutrale del luogo. Episodi simili dimostrano quanto sia delicato l’equilibrio tra apertura e controllo: le Svalbard, pur essendo una piattaforma di collaborazione scientifica globale, sono pur sempre territorio norvegese, e ogni presenza straniera viene valutata anche per le sue implicazioni strategiche. Di recente, più che mai.

Tra cooperazione e tensione

Le Svalbard incarnano quindi un paradosso geopolitico. Da un lato rappresentano un modello di coesistenza pacifica e cooperazione internazionale in un’area strategica, basti pensare alla comunità scientifica multinazionale di Ny-Ålesund o alla convivenza di norvegesi e russi a Longyearbyen e Barentsburg. Dall’altro, però, sono diventate un punto sensibile di attrito nel contesto delle tensioni tra Russia e Occidente e della competizione crescente per l’Artico. 

Il futuro di questo arcipelago appare come un precario punto di equilibrio tra queste due dimensioni. Da una parte la volontà di mantenere l’Artico una zona di pace e collaborazione, rispettosa delle regole internazionali – come auspicato anche dal portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, almeno a parole, quando ha affermato che “l’Artico è una zona di interesse strategico in cui è importante preservare un’atmosfera di pace e stabilità” aggiungendo però che “Mosca guarda con interesse agli sviluppi del Dossier Groenlandia”. 

D’altra parte, infatti, permane il rischio che attori interessati a rivedere lo status quo sfruttino ogni spiraglio normativo o narrativo per avanzare le proprie agende. E questo non vale soltanto per la Russia, anzi.

In questo contesto, la domanda di Trump – «quali regole si applicano al Nord?» – riecheggia come un monito velatamente minaccioso verso l’alleato scandinavo. Il rinnovato interesse strategico statunitense verso il Polo, unito allo stile aggressivo e poco incline “all’etichetta” del Presidente, sta infatti creando tensioni evidenti con i suoi stessi alleati aderenti alla NATO. Danimarca su tutti, la quale sta vedendo la propria sovranità sulla Groenlandia platealmente messa in dubbio dai più alti membri dell’amministrazione americana.

La Norvegia, dal canto suo, ha tutto l’interesse a far valere la propria sovranità sulle Svalbard nel rispetto del diritto internazionale, rassicurando gli alleati (USA in primis) che nell’arcipelago le regole ci sono e funzionano. E la comunità internazionale, NATO compresa, deve tenere alta la guardia: ciò che accade su questo remoto arcipelago – come nota Elisabeth Braw“non resterà confinato lì”, ma potrebbe avere ripercussioni ben oltre il 78° parallelo.

Le Svalbard, a cent’anni dalla firma sul Trattato che ne ha definito i perimetri giuridici, sono chiamate a rimanere un esempio di convivenza e cooperazione nell’Artico. Preservare questo equilibrio sarà essenziale per evitare che i venti gelidi della rivalità geopolitica travolgano uno degli pochi angoli di coesistenza pacifica al mondo.

Enrico Peschiera

Osservatorio Artico © Tutti i diritti riservati

Enrico Peschiera

Genovese e genoano, sono laureato in Relazioni Internazionali all'Università di Maastricht. Oggi mi occupo di comunicazione aziendale e scrivo di geopolitica, logistica e portualità.

Articoli Recenti

Le Svalbard dalle miniere alle crociere

Tra miniere dismesse e ghiacci che si ritirano, le Svalbard si scoprono nuova frontiera del…

2 ore fa

Windsled2025, tutti i dettagli della nuova missione

Antonio Mangia racconta con il suo diario di bordo la spedizione guidata e ideata da…

3 giorni fa

Ghiaccio, dati e potere. Il futuro dell’Artico tra tecnologia e sovranità

L’uso dell’intelligenza artificiale nell’Artico apre nuove prospettive per il monitoraggio climatico e la governance geopolitica,…

4 giorni fa

I cavi sottomarini, nuova frontiera della sicurezza in Artico

Tra scioglimento dei ghiacci e rivalità globali, i cavi sottomarini artici sono il nuovo fronte…

6 giorni fa

I droni ucraini devastano le retrovie strategiche russe

L’attacco ucraino, forse il più grave dall’inizio del conflitto, ha colpito quattro basi aeree in…

7 giorni fa

Tamburi tra i ghiacci: il risveglio culturale della Groenlandia

Tra memoria e autodeterminazione, la rinascita culturale della Groenlandia passa anche attraverso la riscoperta dei…

1 settimana fa