South Korea's navy wants to secure maritime trade routes in the Arctic regions, according to a local press report. File Photo by Yonhap/EPA
Seul guarda all’Artico come nuova frontiera per il commercio marittimo, tra ambizioni industriali, sfide climatiche e incognite geopolitiche.
La Corea del Sud ha pianificato di iniziare nel 2026, stando a quanto dichiarato dal Ministro per gli oceani e la pesca Chun Jae-soo, di utilizzare le rotte artiche per la navigazione. Per sfruttare la rotta e non perdere terreno rispetto agli “stati concorrenti”, i viaggi di prova inizieranno “appena possibile” ed un gruppo di esperti dovrà mettere a punto un piano a medio-lungo termine per la navigazione artica.
D’altronde per la Corea del Sud la marina mercantile ed il settore marittimo, anche se potrebbe non sembrare, hanno un ruolo importantissimo rappresentando circa il 10% del PIL, se considera in toto il settore, comprendendo navigazione, industria navale, pesca, operazioni portuali, ecc. Alcune delle maggiori aziende di costruttori navale e bacini di carenaggio, non a caso, hanno sede proprio in Corea: Hyundai, Hanwha Ocean e Samsung Heavy Industries.
La corrente amministrazione di Lee Jae Myung ha deciso di spostare il Ministry of oceans and fisheries, quello che in italiano avremmo indicato fino al 1993 col (poi soppresso) Ministero della Marina mercantile, a Busan. Busan è un porto strategico a 325 km da Seoul e di fronte all’isola giapponese di Tsushima, e lo spostamento dovrebbe avere proprio la funzione di accelerare il processo di espansione degli interessi navali coreani proprio al di là del 38° parallelo.
Tale espansione avrà anche un impatto diretto sull’economia locale, sfidando la competitività di Shanghai, che potrebbero rientrare nelle politiche di contenimento di Pechino, non solo coreane, ma di altri alleati di Washington. Il governo vorrebbe attrarre ulteriori istituzioni finanziarie e militari, nonché HMM – Hyundai Merchant Marine, uno delle maggiori società di navigazione specializzata nel trasporto di container del mondo. Il Ministero ha anche appaltato a Hanwha Ocean (ex Daewoo Shipbuilding and Marine Engineering) la costruzione di un rompighiaccio che verrà utilizzato dal Korea Polar Research Institute, proprio per supportare queste attività.
La strategia sudcoreana non si limita a delineare piani di lungo periodo: il governo ha già annunciato un incremento significativo del budget per sostenere l’espansione del porto di Busan, con l’obiettivo di renderlo un hub in grado di intercettare il traffico artico e, al tempo stesso, rilanciare l’area industriale meridionale del Paese. Sono stati stanziati 1,66 trilioni di won (circa 1,15 miliardi di euro) per ampliare e ammodernare le infrastrutture portuali e 549 miliardi di won (335 milioni di euro) per la costruzione di nuovi rompighiaccio entro il 2030.
A ciò si aggiunge un programma di sussidi che prevede investimenti di 11 miliardi di won (8 milioni di dollari) per ogni nave con capacità ice-class destinata alle rotte polari, rafforzando un comparto cantieristico che già vanta l’esperienza di colossi come Hanwha e Samsung Heavy Industries. Tuttavia, la sorte di diverse navi ad alta classe ghiaccio costruite da Hanwha rimane incerta a causa delle sanzioni occidentali che hanno congelato il progetto Arctic LNG 2, mostrando come le ambizioni sudcoreane sull’Artico siano inevitabilmente intrecciate con le dinamiche geopolitiche globali.
La strategia infatti, per ora focalizzata solo sulla parte commerciale del trasporto marittimo, ha già generato alcune reazioni contrastanti da parte degli addetti ai lavori. Alcuni, infatti come riportato dal sito Shipping Watch, mettono in discussione la Northern Sea Route (NSR), come una via di navigazione commercialmente praticabile nell’immediato futuro.
Nel 2024 ci sono state 97 traversate sulla NSR da diversi tipi di navi (petroliere, portarinfuse e porta container), ma solo 56 erano a pieno carico. Il volume totale dei container per esempio è stato di molto inferiore rispetto a quello tra Asia ed Europa: 24 milioni e mezzo di container (TEU da 20 piedi, circa 6 metri) contro le 22 mila unità sulla NSR: numeri ancora molto bassi rispetto alle altre vie di navigazione. Quindi, nonostante il cambiamento climatico permetterebbe una più agevole navigazione nei periodi estivi, lo sviluppo della rotta marittima settentrionale sembra andare piuttosto a rilento, sia per motivi logistici che di opportunità politica ed economica.
Sorge dunque spontanea una domanda ampiamente illustrata su Osservatorio Artico: la NSR è conveniente?
Nonostante il cambiamento climatico che permetterebbe una più agevole navigazione in una rotta che ridurrebbe il tempo ti percorrenza, vi sono altri fattori che intaccano la reale operatività della rotta del nord: le sanzioni contro la Russia e le conseguenze che queste hanno per le società di navigazione. I dati parlano chiaro: le tre direzioni dei viaggi lo scorso anno sono state dalla Russia alla Cina, dalla Cina alla Russia e tra i porti occidentali ed orientali della Russia. Il 95,2% dei beni trasportato è stato dalla Russia alla Cina, il 61,5% solo di greggio. I viaggi sono stati quindi influenzati anche dalle limitazioni dovute agli “attriti” internazionali.
Oltre alla possibilità di utilizzare quelle rotte senza problemi legali o politici, sorge però anche la necessità di comprendere il livello di investimenti sulla propria flotta, necessari per poter operare in quelle zone. Ad alte latitudini e con condizioni atmosferiche lontane delle “normali” operazioni, sono necessarie navi con una Ice class RS o IACS Polar Class, ovvero navi costruite e certificate per operare in condizioni “fredde”. Gli investimenti dovrebbero essere poi ammortizzati con frequenti viaggi, utilizzando quelle rotte il più possibile. Con una flotta mondiale sempre più vetusta, gli armatori saranno disposti a investire di più per navi Ice class – ed aspettare le consegne – se poi la percorrenza della NSR non sarà così alta?
Inoltre, gli investimenti per avere navi adeguate ed equipaggi ben addestrati alla situazione sono consistenti. La maggior parte dei paesi occidentali si appoggia per i trasporti a società di navigazione private, che possono non vedere di buon occhio un massiccio investimento di denari per poi vedere la propria operatività messa a repentaglio da ritorsioni commerciali e sanzioni. D’altra parte, non investire su quelle rotte potrebbe tagliare fuori i paesi occidentali, che con l’Oriente hanno un importante commercio.
Le incognite sono tante, con tanti attori e tanti interessi. Per concludere, la risposta possibile è solo una: dare un valore alla candela, e decidere di conseguenza se giocare.
Gianmaria Ricci
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