Lo scioglimento dei ghiacci è uno dei temi principali della questione climatica globale. Ma troppo poco si sente parlare del “Permafrost“, il cui scioglimento potrebbe addirittura essere una notizia peggiore della prima. Andiamo con ordine.
Il permafrost – in italiano con l’altisonante nome di “Permagelo” – è il nome di un tipo di terreno perennemente ghiacciato, che si trova tra l’estremo Nord Europa, la Siberia e l’America Settentrionale. Ma c’è molto di più. Quando leggiamo sui quotidiani la notizia di un nuovo innalzamento termico, e conseguente scioglimento del permafrost, pensiamo a un ghiaccio perenne. Una terra di ghiaccio, che viene convenzionalmente considerata tale se è ghiacciata da almeno due anni. Lo strato superficiale di permafrost è il più sensibile ai cambiamenti del clima. Si scioglie durante il periodo estivo (non solo nelle regioni artiche, ma anche oltre la quota di 2,600 metri sulle Alpi, ad esempio), ma può arrivare anche a profondità di 1,500 metri in Siberia. Lo strato più profondo non ha mai subito decongelamento dall’ultima era glaciale, circa diecimila anni fa. E qui sorge il primo problema.
Il permafrost si trova sulla terra e sotto il fondo dell’oceano, in aree in cui le temperature rimangono costantemente sotto lo zero. Ciò significa che il permafrost si trova spesso nelle regioni artiche come la Groenlandia, lo stato americano dell’Alaska, la Russia, la Cina e l’Europa orientale.
Il permafrost copre circa 22,8 milioni di chilometri quadrati nell’emisfero settentrionale della Terra e il suo spessore può variare da 1 a oltre 1.000 metri.
Se il permafrost inizia a subire il clima anche a livelli più profondi, potrebbe rilasciare nell’atmosfera grandi quantità di gas metano che sono rimaste intrappolate nel terreno per millenni, andando a peggiorare ulteriormente le già precarie condizioni ambientali del pianeta. Un sistema moltiplicativo del problema. Nel corso dei prossimi decenni si teme, inoltre, che le acque di fusione del permafrost potrebbero contribuire a raffreddare i mari della regione, e ad abbassarne la salinità. Cosa cambierebbe? Le correnti oceaniche, come la Corrente del Golfo, fungono da termometri naturali del globo, e una diversa salinità potrebbe comprometterne il flusso, andando a modificare sensibilmente il clima di alcune aree. Uno sconvolgimento totale del pianeta, che si sta già in parte verificando.
Nell’emisfero settentrionale le regioni in cui il permafrost è presente rappresentano il 25% del territorio (23 milioni di km²). Stando ai dati dell’International Permafrost Association – un’Organizzazione Internazionale che si occupa del monitoraggio scientifico del terreno ghiacciato – la situazione sta mutando in maniera rapida e drastica. Se utilizziamo il permafrost come “termometro” dei cambiamenti del clima e della qualità dell’aria degli ultimi secoli, scopriamo che negli ultimi decenni lo scongelamento dello stesso terreno ghiacciato si è verificato in luoghi di pianura e di montagna. Semplificando la parte tecnica, è possibile affermare che la degradazione del permafrost nella sua distribuzione è dovuta a un’anomalia, un cambiamento repentino che provoca dei “Taliks”.
I Taliks sono strati di terra scongelati che si trovano nei territori caratterizzati dal permafrost. Delle specie di “oasi”, delle zone prive di ghiaccio. Solitamente, si possono trovare “taliks” sotto i fiumi e laghi la cui acqua profonda non ghiaccia, e che quindi mantiene a un livello di temperatura superiore la terra sottostante.
Su “Il BO Live“, dell’Università di Padova, possiamo trovare una più attenta analisi degli scenari relativi allo scioglimento del permafrost:
A causa del riscaldamento globale in atto i ghiacciai, la neve e il permafrost stanno diminuendo e continueranno a farlo. Questo aumenterà i rischi per le persone, con il verificarsi di frane, valanghe, cascate e inondazioni. Si stima che i piccoli ghiacciai che sono in Europa, in Africa orientale, nelle Ande tropicali e in Indonesia siano destinati a perdere oltre l’80% della loro attuale massa entro il 2100 in scenari ad alte emissioni. E il ritiro della criosfera di alta montagna influenzerà probabilmente in modo negativo le attività ricreative, il turismo e i beni culturali. Senza contare che, se i ghiacciai di alta montagna si ritirano, possono alterare anche la disponibilità e la qualità dell’acqua a valle, con conseguenze in settori come l’agricoltura e l’energia idroelettrica. Il livello del mare, poi, continua ad aumentare, di 15 centimetri nel XX secolo.
Il nuovo allarme deriva da uno studio pubblicato su Nature a metà ottobre 2019. Toni decisi per dire che il permafrost si sta sciogliendo anche nelle aree settentrionali dei continenti, rilasciando quantità di CO2 mai raggiunte in precedenza. Seguendo questa tendenza, dicono gli scienziati Susan M. Natali, Jennifer D. Watts e Brendan M. Rogers (e altri): “Le emissioni di CO2 nell’ambiente aumenteranno del 17% fino al 2100 in uno scenario di mitigazione moderato.” I ricercatori del Permafrost Carbon Network hanno analizzato più di 100 siti di campi artici e hanno stimato che il permafrost ha rilasciato una media di 1662 teragrammi di carbonio ogni inverno dal 2003 al 2017. Si tratta di una quantità almeno doppia rispetto anche alle più ardite previsioni fatte da studi precedenti.
Ma il pericolo non finisce qui, anzi. Lo scioglimento del permafrost potrebbe addirittura portarci in scenari decisamente più apocalittici. Il terreno ghiacciato ha custodito per millenni sostanze inquinanti, agenti patogeni e virus che risalgono anche al Pleistocene. Cosa accadrebbe se venissero magicamente rilasciati nell’aria? Senza inventare storie degne di Hollywood, pensiamo all’antrace, che nel 2016 ha ucciso un ragazzo in Siberia. L’agente tossico – si è scoperto in seguito – proveniva da una carcassa di renna scongelata, morta a causa di un’epidemia oltre 75 anni fa. E si fa risalire all’antrace anche la strage di renne dello stesso anno, che causò la morte di oltre 2mila esemplari. A completare il preoccupante quadro si aggiungono più di 1,6 milioni di tonnellate di mercurio tossico contenute nel permafrost che, a causa del suo scioglimento, sarebbero destinate a rientrare nella catena alimentare.
Maggiori informazioni: BBC
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