Foto di Antonio Mangia
Dopo giorni di attesa, l’elicottero parte davvero. Atterraggio tra i ghiacci, scarico sotto le pale in movimento, e la slitta sepolta viene ritrovata: il campo base è finalmente realtà.
Lunedì 26
Ci svegliamo pronti a partire, ma dopo tre false partenze e delle previsioni meteorologiche non proprio perfette, siamo tutti e tre un po’ “rilassati”. In teoria dovremmo ricevere notizie alle 8 del mattino, e provare a partire alle 9. Il giorno prima il pilota ci ha più o meno rassicurato, dicendo però che il tempo sembra migliore nel pomeriggio. Alle 8 ci confermano solo che alle 9 dobbiamo essere lì.
Per l’ennesima volta separiamo i nostri bagagli dalle poche cose che ci porteremo sul ghiaccio, e li lasciamo in un magazzino. Potremmo rivederle qui, o, nel caso in cui dovessimo decidere di finire la spedizione nella costa est, direttamente al sud della Groenlandia. Li spedirà Gina, la signora che ci ospita. Sua figlia Christine ci accompagna in aeroporto con l’auto.
In aeroporto incontriamo il pilota, che ci fa caricare l’elicottero, anche se il tempo non è del tutto certo, e soprattutto manca di nuovo il meccanico: l’unico in città è in vacanza, e Air Greenland non ha ancora fatto le procedure per pagargli lo straordinario. Ma sembra positivo… E allora via, a caricare l’elicottero.
Poi il pilota ci spiega la procedura da seguire in caso in cui la neve non sia sufficientemente solida da poter spegnere i rotori: infatti in quel caso dovremmo scaricare l’elicottero mentre questo è praticamente sospeso a pochi centimetri dal suolo. Le pale rotanti sono ovviamente un pericolo da tenere in conto: sollevano non solo neve, ma qualunque oggetto leggero potrebbe essere sollevato e finire in mezzo alle pale e fare… Un casino, per usare un eufemismo. JJ viene designato come co-pilota.
Dopo un’ora circa arriva il meccanico, e dopo i controlli di sicurezza… Finalmente partiamo! Ancora non siamo sicuri che l’elicottero potrà atterrare: le condizioni sono incerte, e potrebbe decidere di tornare indietro a metà strada, se le condizioni di visibilità sul ghiaccio non sono adatte. Intanto ci godiamo il viaggio incredibile tra le mille isole, ghiacciai e fronti glaciali sul mare, fiordi, montagne… Uno spettacolo.
Abbiamo anche chiesto di sorvolare l’area che vorremmo attraversare per raggiungere il ghiaccio via terra, la stessa che abbiamo esplorato con il peschereccio, per vedere la zona costiera (ci eravamo dovuti fermare a circa 5 km dalla costa, tanto era il ghiaccio). La zona è perfetta per il ritorno, questo già è un grande sollievo.
Dopo un totale di circa 30 minuti di volo, siamo vicini al punto GPS in cui dovremmo trovare la slitta. Non si vede nulla. Il pilota fa vari sorvoli, nella speranza di vedere qualcosa, ma non si vede nulla. Sappiamo che la slitta sarà sepolta sotto almeno un metro e mezzo di neve, ma potrebbe pure essersi spostata, anche di diverse centinaia di metri, sino ad oltre un km. Infatti, i ghiacciai si possono muovere di vari metri al giorno, e a volte si verifica un fenomeno chiamato “galloping gacier” (ghiacciaio galoppante), ovvero dei movimenti estremamente veloci in brevi periodi di tempo.
Insomma, rischiamo di dover cercare, con sonde e pale, la slitta anche per molti giorni. Sarebbe estenuante e ci farebbe perdere molto tempo. Decidiamo di atterrare senza cercare oltre con l’elicottero. Ramon ripete: la suerte esta echada! (il dado è tratto), credo soprattutto tema che le condizioni cambino ed il pilota decida di tornare indietro.
Atterriamo, ed effettivamente dobbiamo scaricare “rotor running”. Il rumore è assordante, e la neve ci sbatte violentemente in faccia tutto il tempo… Ma scarichiamo tutto abbastanza velocemente, e salutiamo a distanza il pilota. Come si vede dal video, JJ intravede a distanza il profilo della slitta e delle corde. Felici ci lanciamo verso la slitta per vedere se è veramente lei, ancora non ci crediamo. Oltretutto c’è un sole incredibile: c’è caldo! Non un filo di vento.
Ho lavorato parte della giornata in maglietta a maniche corte. Il tempo di festeggiare e riprenderci dall’incredulità, e ci mettiamo a scavare. La slitta è smontata, e posata su 6 bidoni. La neve l’ha coperta di un metro e mezzo di neve. Ci mettiamo subito a scavare e a trascinare almeno le cose essenziali da dove ci ha lasciato l’elicottero, a più di 300 metri di distanza. Ci spacchiamo la schiena, inutile fare giri di parole. La neve, soprattutto arrivati a un metro di profondità, è dura, compatta.
Ci sono box di plastica pieni di scorte e materiali incastonati un po’ ovunque, da disseppellire anche loro. Bidoni con benzina… Ogni ritrovamento è una piccola festa, anche perché sì, si sapeva cosa si fosse lasciato, ma non si sapeva ciò che sarebbe stato ritrovato intatto, non distrutto da neve e ghiaccio. Si temeva che almeno una parte sarebbe stata incastrata nel ghiaccio, prodotto dallo scioglimento superficiale in estate, che forma piccole pozze d’acqua – e quindi poi ghiaccio.
Questo fenomeno, nelle giuste condizioni, può anche spaccare il granito, figuriamoci plastica e legno… ma ritroviamo tutto intatto, tutti i box sono stati trovati asciutti dentro. Questo significa che abbiamo anche molte più scorte di cibo di quanto avremmo immaginato: tutto il cibo lasciato l’anno scorso si è conservato perfettamente. Pranziamo a Jamon annata 2023-24, conservato a temperature sub-glaciali. È invecchiato benissimo.
Ma la parte veramente dura è tirare fuori le slitte dal fosso. Ogni slitta pesa dagli 80 ai 100kg, e in più sono incrostate di neve e ghiaccio, e il fosso è profondo, senza una vera rampa. Tirarle fuori tutte e 3 è uno sforzo che prenderà da solo almeno due ore. Una in particolare, anche se è la più leggera, ci costerà molto lavoro perché in fondo al fosso. Finalmente montiamo la tenda, i fornelli, mangiamo del cibo liofilizzato, e sveniamo contenti.
Antonio Mangia
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