Scienza

Oltre i limiti. Dentro la Tara Polar Station

Siamo saliti a bordo della Tara Polar Station, una pionieristica stazione di ricerca galleggiante progettata per restare alla deriva nel ghiaccio per mesi.

Dalla Bretagna a Longyearbyen

Concluso il mio meraviglioso viaggio a bordo del Linden, sono sbarcato a Longyearbyen con il magone. Mi attendevano altre due notti nel capoluogo delle Svalbard prima di fare ritorno in Italia e mi chiedevo come avrei impiegato questo tempo. Dopo un’avventura del genere nulla potrà più stupirmi, pensavo.

Per mia fortuna, è bastato scendere dalla nave e voltarmi verso il molo per essere prontamente smentito. In fondo a una fila di barche a vela, ultima in attracco nel porticciolo della cittadina, c’era un’imbarcazione completamente diversa dalle altre. Non sembrava neanche una nave a dire il vero. Le sue sembianze erano più simili a quelle di un disco volante, ma galleggiava.

La Tara Polar Station di fianco alla goletta Tara il giorno del battesimo a Lorient, in Bretagna, il 24 aprile 2025. © Fondation Tara Ocean

Era la Tara Polar Station, fresca di battesimo dai cantieri di Lorient, in Bretagna, da dove ha preso il largo per raggiungere le Svalbard. Avevo già letto di questo progetto avveniristico ed ero rimasto affascinato dai rendering pubblicati lo scorso anno. Ma vederla effettivamente dal vivo, per di più nel contesto del grande Isfjorden che si insinua nel cuore dell’arcipelago più settentrionale d’Europa, è stato davvero uno spettacolo.

Un laboratorio galleggiante

La Tara Polar Station – seconda nave da ricerca della Fondazione e prima concepita appositamente per il Polo Nord – è infatti un osservatorio itinerante senza precedenti, un vero laboratorio galleggiante destinato a rivoluzionare lo studio dell’Artico. Frutto di cinque anni di progettazione e 18 mesi di lavori, è un ibrido tra una nave oceanografica e una stazione scientifica.

Questo disco volante galleggiante, insomma, è disegnato per andare alla deriva nel ghiaccio per mesi e mesi continuativamente. Trascorrerà circa il 90% del tempo incagliata nel pack, diventando parte integrante della banchisa e seguendone il movimento naturale. Un approccio che apre prospettive inedite: poter rimanere sul posto per intere annate – e ripetere l’operazione per vent’anni, secondo i piani – permetterà di ottenere dati mai raccolti prima.

© Osservatorio Artico

Oltre ad essere un pionieristico esempio di eccellenza scientifica, la Tara Polar Station rappresenta quindi anche un progetto che vuole testare i limiti dell’adattamento umano a condizioni a dir poco estreme. I membri dell’equipaggio – fino a 18 persone, 12 in inverno – resteranno alla deriva per mesi, in temperature oltre i quaranta gradi sotto zero e una perenne notte polare, letteralmente intrappolati all’interno della stazione. Una sfida ai limiti della sopportazione umana.

Scelte di vita

Non capita tutti i giorni di essere a Longyearbyen, e non capita tutti i giorni di incontrare un’imbarcazione del genere. Perciò, ho deciso di sedermi davanti alla Tara Polar Station in attesa di intercettare qualcuno che salisse o scendesse dalla nave.

Mentre attendevo, un ragazzo biondo con un grosso zaino si è seduto al mio fianco, anche lui in ammirazione di questa navicella aliena. Una breve chiacchiera, poi due uomini sono usciti sul ponte della Tara intenti a fumare una sigaretta. Sia io che il mio compare di panchina siamo scattati in piedi e abbiamo approcciato i due sventurati scienziati che speravano di godersi il loro vizio in pace.

© Osservatorio Artico

Alla fine ho strappato un appuntamento per l’indomani, e sono andato via contento insieme al mio nuovo amico. Louis, un biondino francese della mia stessa età (classe 97) che lavora nella stazione polare franco-tedesca di Ny-Ålesund, dove sono stato solo pochi giorni fa. È lì da qualche mese, è un ingegnere e ha già passato un anno in Antartide.

Mi suscita una punta di invidia: ha già fatto un’esperienza pazzesca, e trasmette quella calma di chi ha una passione precisa e la persegue, anche se lo spinge a vivere esperienze per me così estreme e lontane. Vivere isolati nel ghiaccio con un piccolo gruppo di persone, dedicando la propria vita alla scienza, non è esattamente una scelta qualunque. Grande Louis, alla prossima.

Un uomo da rispettare

Così, il giorno seguente, mi sono presentato davanti alla Tara Polar Station. Piovigginava, per la prima volta da quando ero sbarcato alle Svalbard (si chiama fortuna, e neanche poca).

Nell’ora seguente, ho visitato la Tara Polar Station accompagnato da Yohann Mucherie, il capitano, sguardo vispo fra le prime rughe della mezza età. Simpatico, affabile, trasmette anche lui l’energia di chi è convinto delle proprie scelte.

© Osservatorio Artico

Scelte non banali. Prima di incontrarlo, con una breve ricerca ho imparato che quest’uomo si divide fra la conduzione di pionieristiche imbarcazioni per la ricerca polare e il timone della Ocean Viking, la nave che soccorre i migranti in quel Mare Nostrum che negli ultimi anni è diventato un profondissimo cimitero di innocenti.

Ho subito provato un grande rispetto per lui, prima ancora di conoscerlo, e ci è voluto poco perché glielo facessi presente, alludendo all’altra metà della sua vita avventurosa.

Dentro il disco volante

Così, rotto il ghiaccio, ci siamo addentrati nella stazione polare galleggiante. Dentro è più grande di quello che sembra da fuori. Ogni spazio è sfruttato in maniera intelligente. Si sviluppa su una pianta circolare, al centro la scala a chiocciola per spostarsi da un piano all’altro.

© Osservatorio Artico
© Osservatorio Artico

La cucina, la sala comune, una stanza-ambulatorio. Poi la plancia di comando, la terrazza, e svariate stanzette zeppe di macchinari. Incontriamo la cuoca, un’artista a dire del capitano, che la imbarazza. Altri membri della ciurma mi salutano sorridenti, sono tutti scienziati francesi.

Scendiamo nella zona notte, sei cabine singole e sei doppie, i bagni, la sauna. Yohann si imbarazza per il disordine nella sua cabina, è davvero simpatico. Infine scendiamo nel fondo, il vero e proprio laboratorio. C’è un ragazzo, un ingegnere sui trent’anni intento a smanettare su alcuni cavi. Anche lui diviso fra il Polo Nord e il Mediterraneo, dice il capitano presentandomi come un “estimatore”. Mi ha stretto la mano con vigore, e mi ha spiegato quello che avevo intorno.

Il laboratorio

Il fulcro del laboratorio è la “moonpool”, un pozzo cilindrico di 1,6 metri che attraversa lo scafo e consente accesso diretto all’oceano sotto la banchisa. Da qui i ricercatori potranno calare sonde e strumenti scientifici, o persino immergersi sotto il ghiaccio per esplorare gli ecosistemi nascosti sotto la calotta.

© Osservatorio Artico
© Osservatorio Artico

Lo scafo, in alluminio spesso 20 mm, è pensato per resistere alla morsa del pack. La sua forma arrotondata è ideata per consentire alla nave di assecondare la pressione dei ghiacci, sollevandosi invece di esserne stritolata.

L’autosufficienza è il punto fondamentale del progetto di Tara Polar Station. A bordo ci sono pannelli solari e generatori a biodiesel, integrati da batterie e sistemi ecologici che evitano qualsiasi inquinamento in mare. L’autonomia operativa supera i 500 giorni (circa 16 mesi) senza bisogno di rifornimenti esterni.

E poi la strumentazione scientifica: un drone sottomarino, la cella frigorifera, centinaia di metri di tubi, valvole e pulsanti aggrovigliati in un ambiente fantascientifico.

Il fattore umano

Non ho la competenza per spiegare, e a stento per comprendere, a cosa servano tutti i prodigi tecnologici che mi hanno mostrato. Approfondiremo presto insieme a degli esperti tutti gli aspetti tecnici e i progressi scientifici che deriveranno da questa stazione alla deriva.

Ma in questa sede, voglio porre l’accento sul fattore umano. Le persone che ho incontrato sulla Tara, a partire dal capitano, trasmettevano una serenità portentosa. Sono esseri umani che andranno incontro, nei prossimi mesi e anni, a un lungo isolamento in mezzo ai ghiacci polari, nel buio assoluto. Roba da matti, direbbero in molti, forse me compreso.

Eppure, nello scendere a terra, un pensiero mi ha assalito, simile all’invidia provata il giorno prima verso il mio avventuroso coetaneo: e se il matto fossi io, a tornare nella mia “normalità” cittadina?

© Osservatorio Artico

La Tara Polar Station incarna lo spirito pionieristico delle grandi esplorazioni polari. Con lo stesso slancio delle imprese di un tempo, questi pionieri di oggi si spingono ai confini del mondo per ampliare le frontiere della conoscenza. E c’è gente come il capitano Yohann che, lungi dall’essere un esploratore isolato e distaccato dalla società, mette l’altra metà della propria esistenza al servizio non degli ultimi, degli ultimissimi.

Sono scelte di vita che non fanno per tutti. Proprio per questo, meritano di essere raccontate.

Continueremo a farlo qui su Osservatorio Artico!

Enrico Peschiera

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Enrico Peschiera

Ho studiato Relazioni Internazionali e oggi mi occupo di comunicazione aziendale. Scrivo qui perché l'Artico è una frontiera di profondi cambiamenti che meritano di essere raccontati. Genovese e genoano.

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Enrico Peschiera

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