Foto © Osservatorio Artico
Il milanese Stefano Poli ha fatto delle Svalbard la propria casa. Guida, esploratore e fondatore del North Pole Expedition Museum, da trent’anni unisce avventura, cultura e memoria in uno dei luoghi più estremi del pianeta.
Longyearbyen, capitale delle Svalbard. Qui, a 78 gradi di latitudine nord, l’estate si misura in settimane di luce senza tramonto e l’inverno cala come una notte interminabile. Qui, da oltre trent’anni, vive un italiano di nome Stefano Poli. Nomen Omen, verrebbe da dire, anche se di Polo ne ha scelto soltanto uno, quello artico.
Nato e cresciuto a Milano, Poli è arrivato qui per la prima volta nel 1993, quando era ancora studente. «Facevo parte di una scuola di alpinismo», ricorda, “e come viaggio di classe passammo due settimane in tenda alle Svalbard. Fu la mia prima volta qui».
Quella prima esperienza fu sufficiente a legare il suo destino a queste isole remote. Già l’anno successivo tornò a lavorare come guida e dal 1995, racconta, “sono rimasto qua fisso“.
Dopo alcuni anni di lavoro in quella che allora era l’unica agenzia turistica presente nell’arcipelago, nel 1999 Poli decise di fondare una sua agenzia: Poli Arctici. Il nome non è un vezzo, ma una scelta precisa. «Poli è il mio cognome, certo, ma su una cartina olandese del 1636 era scritto “Poli Artici” in latino, cioè il Polo dell’Artico. Non cercavo un nome banale, pieno di anglicismi come tanti altri tour operator, e così è rimasto quello».
«Poli Arctici è nata nel ’99, all’inizio eravamo solo in due. C’era pochissimo turismo, tutto molto artigianale: si dormiva in tenda, non c’erano hotel, poche strutture. Poi, col tempo, il turismo è diventato una parte importante dell’economia locale. Oggi è cambiato tanto: arrivano crociere, gruppi, gente da tutto il mondo.»
«Nel corso degli anni le gite sono diventate sempre più commerciali, per grandi gruppi, escursioni brevi e ripetute più volte al giorno. Io volevo essere più libero nella scelta dei prodotti e soprattutto puntare su viaggi di più giorni, che sono quelli con cui è nata la mia storia d’amore con le Svalbard».
Oggi l’agenzia organizza spedizioni sia in estate che in inverno: trekking, sci alpinismo, motoslitte, gite in barca. «Certo, facciamo anche escursioni giornaliere, ma soprattutto cerchiamo di far capire dove ci si trova: raccontare il paesaggio, la storia, la fauna, non solo far vedere qualcosa di “bello”. Non vendiamo solo un’escursione, ma un’esperienza. La cosa più importante è che chi parte da qui abbia capito qualcosa in più dell’Artico. La mia regola è una sola: resto finché ho la sensazione di imparare qualcosa di nuovo.»
Fare turismo in un ecosistema come quello delle Svalbard non lascia spazio ad alcuna improvvisazione. «Tutti i ragazzi che lavorano con me sono addestrati, qui devi saper usare anche le armi per difenderti dagli orsi polari. È un ambiente spoglio e differente da qualsiasi altro».
I clienti sono i più vari: c’è chi ha già esperienza di montagna e di freddo, e chi invece si affida completamente alla guida. «L’essere umano si adatta velocemente», dice Poli. «La cosa più bella è vedere le persone sentirsi a loro agio in un ambiente ostile. Non mi interessa fare solo gite facili: sono ottime per il business, certo, ma non è solo quello che mi spinge a vivere qui. Io resto qui perché anche io ho bisogno di soddisfare la mia sete di Artico».
Dopo trent’anni, la passione di Stefano non sembra affievolirsi. «Le stagioni sono brevi e molto diverse tra loro. In inverno scii e guidi motoslitte, in estate cammini e vai in barca. Con la varietà del calendario e dei clienti, non fai in tempo ad annoiarti. Finché ho appetito, finché sono stimolato, io resto».
Ma la vita di Stefano Poli non si limita al turismo. La sua altra grande avventura è il North Pole Expedition Museum, aperto a Longyearbyen nel 2008. Ed è una storia di passione, ostinazione e sacrifici.
«Quando arrivai qui non sapevo granché delle spedizioni polari, specialmente di quelle italiane. Poi, col tempo, mi sono appassionato. Ho iniziato a leggere libri in norvegese e in italiano, a collezionare articoli e materiali originali. Mi resi conto che i locali non potevano avere accesso a fonti italiane, così come noi italiani non avevamo quelle norvegesi. Allora pensai: perché non fare un’esposizione?».
Non fu facile. «Non venni preso in considerazione. C’era già il museo ufficiale delle Svalbard, gestito dal Polar Institute norvegese. E poi, diciamolo, c’è sempre stato un certo astio verso Umberto Nobile e quella storia.».
Così Poli decise di fare da solo. «Per anni è stato quasi un suicidio economico, perché non ho ricevuto molto supporto né dalla Norvegia né dall’Italia». Eppure il museo è sopravvissuto, grazie al passaparola e a internet. «I gruppi organizzati non ci portavano nessuno, non essendo pubblicizzati dall’ente del turismo ufficiale. Ma i visitatori individuali sì, facevano foto, le condividevano. Così il museo ha iniziato a camminare con le sue gambe».
Il cuore del museo è dedicato a Umberto Nobile e alla leggendaria spedizione del dirigibile Italia, finita tragicamente nel 1928 con lo schianto sul pack e il salvataggio internazionale passato alla storia come il “dramma della Tenda Rossa”. «Molti visitatori norvegesi e stranieri conoscono poco la figura di Nobile. Volevamo colmare questa lacuna e rendere omaggio alla tradizione esplorativa italiana».
«Ho collezionato di tutto: giornali d’epoca, libri originali, reperti donati anche dai discendenti. È un patrimonio che non volevo tenere solo per me. L’ho fatto perché credo che questa storia debba vivere anche qui, dove si è svolta».
Guardando indietro, Stefano Poli riflette sul suo percorso con un sorriso: «Quando arrivai qui non immaginavo che sarei rimasto trent’anni. Ma l’Artico ti prende, ti entra dentro. È un luogo che ti mette alla prova, ma sa anche darti tantissimo».
«Io vivo qui perché ancora mi appassiona», dice sorridendo. «Ma voglio che anche la storia di questi luoghi e degli uomini che vi sono passati venga ricordata».
E forse è proprio questa la lezione più importante: che anche nel luogo più remoto del mondo, un singolo individuo può custodire la memoria di un’intera nazione, trasformando la propria passione in un patrimonio condiviso.
Enrico Peschiera
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