Affari Militari

Il clima sta cambiando l’operatività militare in Artico

Il cambiamento climatico sta impattando sempre di più il modo di immaginare e programmare la guerra in Artico. Le nuove condizioni ambientali – ghiacci marini ridotti o assenti, scioglimento del permafrost, correnti oceaniche alterate e generale aumento delle temperature – influenzano l’operatività militare e, di riflesso, il panorama strategico e di sicurezza della regione.

Il nesso clima-operabilità militare

Il clima influenza profondamente l’ambiente in cui viviamo, e l’ambiente, a sua volta, condiziona profondamente le attività umane. Dal cambio delle stagioni alle temperature, dalle correnti oceaniche allo scioglimento dei ghiacci, le variabili climatiche non sono mai statiche, ma in continua evoluzione. Queste trasformazioni influenzano settori fondamentali come agricoltura, pesca, navigazione, turismo ed estrazione di risorse naturali. Tra le attività umane soggette agli effetti del clima rientra, inevitabilmente, anche quella militare: come ogni altra forma di azione umana, anche la guerra è influenzata dalle condizioni ambientali in cui si svolge.

Foto: Ministry of Defence (Russia)

L’Artico rappresenta oggi uno dei fronti climatici più sensibili del pianeta: dal 1979 a oggi, le temperature nella regione sono aumentate a un ritmo quasi quattro volte superiore alla media globale. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: ghiacci marini sempre più sottili o del tutto scomparsi in alcune stagioni, degrado del permafrost, alterazioni nelle correnti oceaniche e nei livelli di salinità delle acque.

Tutto ciò sta ridisegnando non solo l’ecosistema artico, ma anche le dinamiche strategiche e operative delle potenze militari interessate alla regione. Un tema sempre più centrale, quello dell’operatività militare, dibattuto dai decision makers politici e militari, come vedremo in seguito.

Come cambia il terreno di (possibile) scontro

Secondo uno studio presentato alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco nel 2023 dal NUPI (Norwegian Institute of International Affairs) e il Wilson Center, lo scioglimento progressivo della banchisa artica sta aprendo nuovi spazi marittimi un tempo impraticabili, offrendo alle marine militari dei paesi artici maggiori opportunità per condurre operazioni navali più complesse e articolate. Tuttavia, la natura sempre più stagionale e instabile del ghiaccio marino, che si scioglie e si riforma ciclicamente, mantenendosi spesso sottile, rende estremamente difficile prevedere le condizioni del mare e compromette la possibilità per i sottomarini di operare in incognito sotto la superficie ghiacciata, aumentando il rischio di essere individuati da sistemi di sorveglianza aerea o satellitare.

A complicare ulteriormente lo scenario, la fusione dei ghiacci, sia marini che terrestri, sta riducendo la salinità e la densità delle acque artiche. Questo fenomeno sta alterando il funzionamento della Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC), il vasto sistema di correnti oceaniche di cui fa parte anche la Corrente del Golfo. Un simile cambiamento può avere ripercussioni significative sulla propagazione delle onde sonore in ambiente sottomarino, compromettendo la capacità operativa di sommergibili, navi antisommergibile e sistemi di rilevamento acustico impiegati nei teatri navali.

I marines finlandesi e svedesi si esercitano in operazioni anfibie con altri alleati della NATO nella Norvegia settentrionale. Foto: NATO

Anche sulla terraferma artica il cambiamento climatico sta modificando radicalmente il contesto operativo. Lo scioglimento del permafrost, presente in vaste aree, dal Canada alla Siberia, passando per la Groenlandia, sta danneggiando infrastrutture critiche: tra cui basi aeree, stazioni radar e porti militari. Il terreno, un tempo congelato, si sgretola, provocando frane, doline, crolli e l’erosione costiera, danneggiando piste d’atterraggio, centri d’addestramento, strade, ferrovie e stazioni radar. A questo si aggiunge l’evoluzione delle precipitazioni: in molte zone si assiste a un passaggio da nevicate a piogge, le quali, congelandosi durante la notte, formano lastre di ghiaccio che ostacolano pesantemente le operazioni terrestri e la mobilità dei mezzi militari.

Infine, lo scioglimento del permafrost rappresenta anche un rischio potenziale dal punto di vista ambientale e sanitario. Il rilascio di metano, anidride carbonica, agenti patogeni e, in alcuni casi, residui radioattivi intrappolati nel terreno ghiacciato potrebbe esporre i militari operativi nella regione a nuove minacce biologiche e chimiche.

Gli effetti sul piano strategico: Russia e NATO alla prova

Le conseguenze del cambiamento climatico sull’operatività militare in Artico non si limitano al piano tattico: si riflettono anche a livello strategico, influenzando le scelte geopolitiche degli Stati e le loro strategie di mitigazione e adattamento. Uno degli effetti più rilevanti riguarda la crescente navigabilità dei mari artici. Con il progressivo scioglimento dei ghiacci, si aprono nuove rotte commerciali e aumentano le attività economiche civili, dalla pesca al turismo. Ma con l’incremento della presenza umana, civile e militare, cresce anche il rischio di incidenti, incomprensioni e tensioni, soprattutto in un contesto già carico di rivalità tra Russia, NATO e, sempre più, anche la Cina.

La gestione di queste nuove sfide, come il coordinamento delle operazioni di salvataggio e soccorso (SAR – Search and Rescue), diventa cruciale in un’area dove le distanze sono vaste, le condizioni ambientali proibitive e le infrastrutture scarse. La competizione per il controllo delle rotte e delle risorse si intreccia così con la necessità di cooperazione, creando una tensione latente e pericolosa. Proprio in questo contesto, il presidente statunitense Donald Trump aveva recentemente annoverato il crescente traffico marittimo nella regione e della presenza sempre più costante di unità militari e civili russe e cinesi come ragione principale dell’interesse strategico per la Groenlandia.

Per la Russia, l’apertura di nuove aree di operabilità navale e anfibia ha esposto maggiormente il suo fianco settentrionale, generando timori strategici. Il Cremlino ha reagito rafforzando la militarizzazione della costa siberiana, in particolare nella Penisola di Kola, nodo fondamentale per la dottrina del “bastione” e per la proiezione della deterrenza nucleare. Nel documento Russia’s Arctic Policy to 2035, il cambiamento climatico è esplicitamente indicato come un ostacolo alla sicurezza nazionale, non solo per i mutamenti ambientali ma anche per la vulnerabilità crescente delle infrastrutture militari. In questo modo, Mosca si trova a dover bilanciare l’ammodernamento delle proprie basi con il rischio di alimentare una corsa agli armamenti nell’area.

Anche la NATO ha riconosciuto l’Artico come un punto critico nella relazione tra clima e sicurezza. Nel report pubblicato nel 2024, NATO Climate Change and Security Impact Assessment, la regione viene citata come caso emblematico, sia per quanto riguarda il teatro operativo marittimo che quello terrestre. Il documento sottolinea i rischi legati all’imprevedibilità climatica e al danneggiamento di basi e infrastrutture militari, tra cui quelle statunitensi di Pituffik (Groenlandia), Eielson e Fort Wainwright in Alaska, così come le installazioni del North Warning System in Alaska e Canada. Anche la base finlandese di Rovajärvi viene menzionata tra quelle a rischio, a causa dello scioglimento del permafrost e dell’aumento delle precipitazioni piovose che stanno compromettendo l’addestramento sul campo.

Tutto questo pone a rischio le capacità operative e strategiche dell’Alleanza Atlantica nell’Artico, alimentando un senso di insicurezza di fronte alla crescente militarizzazione russa. Secondo la strategia della NATO, tutto questo rende necessario adottare strategie di adattamento non solo tecnologico, ma anche strategico, integrando uno studio costante degli effetti climatici con una resilienza e preparazione operativa sempre aggiornata. La natura transnazionale del cambiamento climatico impone, inoltre, un approccio collettivo all’interno della NATO, che metta in equilibrio le priorità di difesa nazionale con il necessario coordinamento tra alleati.

Prospettive future, tra adattamento e rischio di escalation

L’esigenza di adattamento strategico da parte degli attori coinvolti ai cambiamenti ambientali, unita al progressivo deterioramento del panorama di sicurezza nell’Artico, rende le prospettive future sempre più incerte. La crescente operabilità navale, i rischi connessi alla militarizzazione come risposta ai danni causati dal cambiamento climatico alle infrastrutture, e l’aumento della presenza umana, sia militare che civile, nella regione, alimentano il pericolo di un’escalation involontaria.

Alcuni analisti hanno proposto l’adozione di un “codice di condotta militare per l’Artico”, sottoscritto da tutti gli Stati artici, per prevenire incidenti, facilitare il coordinamento nelle operazioni di ricerca e soccorso (SAR), e ridurre l’imprevedibilità operativa dovuta ai cambiamenti ambientali. Tuttavia, questa prospettiva di cooperazione multilaterale appare oggi sempre più remota, complice l’inasprirsi delle tensioni tra Russia e NATO, aggravate dalla guerra in Ucraina e da una crescente sfiducia reciproca.

In questo scenario in evoluzione, il futuro dello scenario di sicurezza artico si gioca su un equilibrio instabile, dove le trasformazioni ambientali si intrecciano con imprevedibilità tattica e logiche di potenza. Tra la necessità di adattamento alle nuove condizioni climatiche e il rischio concreto di una nuova corsa agli armamenti, il Grande Nord si conferma come uno degli snodi cruciali della sicurezza globale del XXI secolo.

Lorenzo Tessoni

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Lorenzo Tessoni

Laureato magistrale in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna, ho frequentato il Master in Sviluppo Sostenibile, Geopolitica delle Risorse e Studi Artici presso la Società Italiana per l'Organizzazione Internazionale (SIOI). Collaboro con think tank, riviste e magazine in materia di sicurezza, energia e geopolitica artica.

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