Fiumi invisibili sotto chilometri di ghiaccio collegano i laghi subglaciali antartici, influenzando lo scioglimento e gli equilibri climatici globali
Quando la superficie di un lago congela si forma uno strato di ghiaccio isolante: l’acqua sottostante, tuttavia, rimane allo stato liquido. Se a questo affascinante fenomeno fisico aggiungiamo milioni di anni di neve, caduta dal cielo, compressa e stratificata sulla superficie di acqua ghiacciata, si ottengono i laghi subglaciali antartici.
In Antartide sono circa 400 i laghi subglaciali mappati a partire dalla fine degli anni sessanta del ‘900 e alcuni di essi sono stati raggiunti tramite perforazioni che hanno rivelato la presenza di ecosistemi di vita microbica in queste acque misteriose. In particolare, ampie ricerche sono state condotte nel lago Vostok (perforazione operata dai russi), nel lago Mercer (con il programma americano denominato “Subglacial Antarctic Lakes Scientific Access”) oltreché nel bacino di acqua dolce Enigma, raggiunto da un team di ricercatori italiani dell’INGV, del CNR e delle Università di Firenze e La Sapienza di Roma.
Secondo più recenti ricerche, inoltre, i laghi subglaciali antartici sono collegati tra loro da fiumi e corsi d’acqua, in un vero e proprio reticolo idrico sottostante alla calotta glaciale. Uno studio pubblicato nell’ottobre 2022 su Nature Geoscience, in particolare, ha fornito prova dell’esistenza di un fiume lungo 460 km, che si estende dall’interno del continente sino al margine terrestre.
Ma cosa succede quando l’acqua dei fiumi e dei laghi subglaciali antartici raggiunge l’oceano circostante?
L’Antartide, un continente grande quasi una volta e mezzo l’Europa, è un continente “di ghiaccio” perché collocato al polo sud terrestre ma oggi più che mai appare vivo e centrale nel destino dell’umanità.
Ad animare il dibattito scientifico è soprattutto il tema dello scioglimento dei suoi ghiacci. Lo scioglimento dell’intera calotta polare antartica, causato dal surriscaldamento globale, porterebbe ad un innalzamento del livello del mare di circa sessanta metri ma è sufficiente concentrare l’attenzione su un singolo ghiacciaio, quello di Thwaites, considerato il più instabile – perché molto condizionato dall’erosione dell’acqua marina, che a sua volta è sempre più calda – per comprendere la gravità del problema.
Thwaites, non a caso soprannominato il “ghiacciaio dell’apocalisse”, corrisponde a 60 centimetri di innalzamento degli oceani e secondo uno studio del 2019 potrebbe scomparire in soli 150 anni. Preoccupano non soltanto il fatto che molte città costiere e addirittura interi Paesi insulari scomparirebbero, ma anche i rischi connessi alla desalinizzazione dell’acqua marina che porterebbe, a cascata, ripercussioni sulle correnti oceaniche che determinano l’equilibrio climatico del pianeta, influenzando la temperatura delle regioni terrestri, il meteo, la concentrazione di sostanze nutritive e la distribuzione della vita marina.
Ad aggravare il problema dello scioglimento dei ghiacci antartici è proprio il reticolo idrico sepolto sotto alla calotta polare. Secondo lo studio dal titolo “The past, present, and future evolution of Aurora Subglacial Basin’s subglacial drainage system” pubblicato a marzo 2025 su Nature Communications, il deflusso subglaciale attraverso le linee di contatto antartiche e nelle cavità oceaniche sotto la piattaforma di ghiaccio aumenterebbe localmente lo scioglimento basale della piattaforma di ghiaccio, sia aumentando la turbolenza della massa d’acqua in prossimità della linea di contatto sia aumentando la galleggiabilità dei pennacchi sotto la piattaforma di ghiaccio.
In altri termini, sfociando in mare, i fiumi subglaciali agitano l’acqua dell’oceano antartico provocando, da sotto, l’erosione della calotta glaciale che si estende dalla terraferma fin sopra l’oceano.
I risultati delle ricerche condotte sull’Aurora, un grande bacino subglaciale nella Terra di Wilkes, indicano anche una continua riorganizzazione dei sistemi di drenaggio e dei modelli di scioglimento della piattaforma di ghiaccio, suggerendo che ciò che è accaduto in passato non sia del tutto rappresentativo del futuro. Poiché il drenaggio subglaciale rappresenta fino al 70% dello scioglimento della piattaforma di ghiaccio, i risultati implicano che la perdita di massa di ghiaccio potrebbe essere ben più elevata di quanto precedentemente ipotizzato.
In effetti, ormai da alcuni anni, gli scienziati mettono in guardia rispetto al sospetto che le attuali previsioni sullo scioglimento del ghiaccio dell’Antartide possano essere errate e, purtroppo per noi, troppo ottimistiche.
Il punto centrale è che i modelli attualmente in uso per determinare la misura e i tempi dello scioglimento della calotta glaciale antartica non considerano gli effetti derivanti dall’acqua dolce contenuta nel reticolo di laghi e fiumi antartici.
Uno studio internazionale coordinato dal Cnr-Isp e dall’Università Ca’ Foscari Venezia, pubblicato su Science Advances, ha inoltre dimostrato che al termine dell’ultima era glaciale, a partire da circa 18.000 anni fa, la corrente circumpolare profonda è riuscita a risalire il margine nel Mare di Ross, favorendo il ritiro della calotta di ghiaccio.
Si legge nel comunicato stampa del CNR dello scorso 30 giugno: “Questa è la prima evidenza diretta che la Corrente circumpolare profonda — una corrente marina più calda rispetto alle acque tipiche dell’Antartide, e quindi in grado di fondere il ghiaccio — è riuscita a risalire fino alla base dell’antica piattaforma di ghiaccio galleggiante nel Mare di Ross, contribuendo alla sua rottura all’inizio del riscaldamento post-glaciale”.
Pare, dunque, che ancora molte indagini debbano essere compiute per comprendere quali siano i reali fattori che determinano lo scioglimento dei ghiacci antartici e quale impatto sia lecito attendersi nei decenni e nei secoli a venire.
Intanto, altri progetti sono stati avviati per “scendere” nelle profondità del continente.
Presso l’Antarctic Treaty Consultative Meeting sono state presentate le valutazioni ambientali che preludono all’avvio delle ricerche sul campo: quella britannica per il Lago Ellsworth (2012) già iniziata e poi interrotta, quella coreana per l’esplorazione dei laghi subglaciali della terra di Vittoria meridionale (2018) e quella cinese per il lago Qilin (2024).
Ma la corsa ai laghi subglaciali antartici è solo all’inizio.
Alberto Muzzi
Con le scuse del Primo Ministro danese Mette Frederiksen a Nuuk, la Danimarca riconosce un…
Nell’Artico stanno aumentando le tossine prodotte da alcune alghe marine, che germinano più velocemente in…
L’Europa sta trasformando il proprio sistema energetico ad un ritmo senza precedenti: la transizione verde,…
Parte dallo scalo di Nome, in Alaska, il progetto di ammodernamento delle infrastrutture marittime statunitensi…
Nel norvegese Repparfjord la corsa al rame per la transizione ecologica diventa una minaccia per…
Nuova stagione di grandi incontri e conferenze a Genova, con il ritorno della Genoa Shipping…