Foto: Andoya Space
Esrange e Andoya Space: come si è sviluppata l’industria spaziale nella regione artica e quali problematiche ambientali e sociali ha generato la sua presenza. E perché lo spazio e l’Artico sono strettamente legati. Articolo pubblicato in partnership con Voci di Svezia
Per i non appassionati di Scandinavia, i toponimi Kiruna e Andøya possono dire ben poco.
Posizionata a circa 200km dalla linea immaginaria che delimita il Circolo polare artico, Kiruna è conosciuta come la “città più a nord della Svezia.” Salita agli onori della cronaca per l’ambizioso progetto di spostarla in blocco a causa delle sue cedevoli fondamenta – una conseguenza della presenza di una enorme miniera di ferro – Kiruna è una destinazione turistica molto rinomata dove è possibile perdersi nello splendido paesaggio della taiga svedese, ammirare l’aurora boreale e lasciarsi rapire dalle storie dei nativi del luogo, i Sami.
Circa 300 km più a nord-ovest, al largo della costa norvegese, vi è l’isola di Andøya. Caratterizzata anch’essa da una natura mozzafiato e spettacolari percorsi per escursionisti, Andøya ospita una piccola comunità di abitanti, dediti principalmente alla pesca.
Questi due posti, apparentemente slegati tra loro, sono diventati il centro di una competizione industriale tra Svezia e Norvegia che potrebbe avere enormi conseguenze in Europa dal punto di vista scientifico, ambientale, commerciale e militare. Una competizione che mira a raggiungere lo spazio.
In questo approfondimento cercheremo di capire come si è sviluppata l’industria spaziale nella regione artica e quali sono le complesse problematiche ambientali e sociali che la sua presenza ha generato.
Luglio 2025. I giornalisti del Dagens Nyheter Sven Björkland ed Erik Simander si recano ad Andenes, capoluogo dell’isola norvegese di Andøya, e intervistano un uomo di nome Eirik Norvoll. Da tempo capitano di una nave da pesca ormeggiata ad Andenes, Norvoll è membro della Norges Fiskarlag, Associazione dei Pescatori della Norvegia, una sorta di confederazione che tutela gli interessi del comparto ittico norvegese. Nella breve videointervista pubblicata sul sito del DN, Norvoll dà voce alla sua preoccupazione in merito alla presenza dell’industria spaziale nell’Artico e all’impatto che sta avendo sull’economia locale:
“Noi [del settore ittico, ndr.] abbiamo visto come l’industria spaziale si è sviluppata nel tempo. In passato è accaduto per un periodo attorno agli anni ‘60 e tutto è andato bene. Ma solo negli ultimi anni si è sviluppata molto, diventando un problema sempre più grande per noi. Veniamo pagati in base a quanto pesce riusciamo a prendere, quindi, se manchiamo un giorno in mare, la gestione di ogni singola barca, del pesce e di tutto il resto diventa costosa.”
Il fulcro del problema di Norvoll si può riassumere in una sola parola: razzi. In particolare, quelli provenienti dalla vicina base di lancio di Andøya e da quella più lontana di Esrange in Svezia, a pochi chilometri da Kiruna.
Da tempo, infatti, la Svezia e la Norvegia si contendono il posto di leadership in Europa del settore spaziale, e la loro partita si gioca essenzialmente sulla capacità di lanciare satelliti ad uso civile e militare in orbita attorno alla Terra. Ma per capire le preoccupazioni di Eirik Norvoll e dei pescatori Andenes, è necessario volgere lo sguardo al passato e capire come lo spazio sia diventato un tema cruciale per l’Artico.
Siamo attorno alla metà degli anni ‘60 del secolo scorso. L’Europa è nel pieno dello sviluppo economico che caratterizzerà la gran parte del Secondo dopoguerra. In particolare, la ricerca scientifica diventa gradualmente uno dei traini principali della rinascita europea e uno straordinario strumento per ricucire i rapporti, anche diplomatici, tra le nazioni europee dopo la catastrofe della guerra. Con questo spirito, nel 1954 nasce ufficialmente a Parigi il CERN, e circa un decennio più tardi, nel marzo 1964, viene creato il primo embrione dell’ESA chiamato ESRO (Organizzazione europea per la ricerca spaziale). Tra i 10 stati fondatori dell’ESRO, oltre all’Italia, troviamo la Danimarca e la Svezia, mentre alla Norvegia viene garantito lo status di osservatore.
Come si può leggere dai rapporti ufficiali dell’ESRO del 1964-5, l’Organizzazione si adopera immediatamente per la realizzazione delle sue infrastrutture, tra cui l’ESTEC (European Space Technology Center) nei Paesi Bassi e l’ESRIN (European Space Research Institute) a Frascati (entrambi in uso ancora oggi). La Svezia è protagonista in questa fase, in quanto il consiglio dell’ESRO decide di costruire una propria base di lancio di razzi ad uso scientifico nel profondo nord del Paese, nelle vicinanze di Kiruna.
La scelta della Svezia per la realizzazione dello spazioporto dell’ESRO non è casuale. Gli anni ‘50 e ‘60 sono cruciali nello studio della fisica dell’interazione tra l’atmosfera terrestre e l’ambiente spaziale, e alle aurore boreali viene prestata un’attenzione particolare. Dal punto di vista strettamente tecnico, le aurore e in generale l’alta atmosfera terrestre vengono studiate attraverso il lancio di razzi-sonda, una categoria di vettori in grado di trasportare esperimenti scientifici al confine tra l’atmosfera terrestre e lo spazio prima di ricadere sul suolo terrestre.
Dunque, Kiruna viene scelta in virtù della sua posizione geografica molto vicina a dove l’intensità delle aurore è massima e per la lontananza da centri abitati popolosi. I lavori di costruzione dello spazioporto ESRO iniziano nel 1965 e si concludono l’anno seguente, quando alla base viene dato il nome Esrange.
Tuttavia, la necessità di cominciare le attività di ricerca al più presto costringe l’ESRO a non aspettare l’inaugurazione di Esrange e di affidarsi quindi a basi di lancio nazionali per spedire i propri esperimenti nello spazio. Tra gli spazioporti utilizzati, oltre a quello italiano di Salto di Quirra in Sardegna, viene utilizzato proprio quello norvegese sull’isola di Andøya, chiamato Andoya Space, attivo già dal 1962.
Nel corso degli anni, l’ESRO utilizzerà entrambe le basi di Esrange e Andoya Space per il lancio dei suoi esperimenti. Nel 1966, l’Organizzazione effettua 27 lanci, di cui 6 da Andøya e 3 da Esrange; cinque anni dopo, nel 1971, i lanci diventano 43, di cui 28 dalla base svedese.
Nel 1972, mentre l’ESRO avviava il processo di trasformazione in ESA (completato nel 1975), viene fondata in Svezia la Svenska Rymdbolaget, oggi conosciuta come Swedish Space Corporation, la quale acquista la base di Esrange. Da quel momento, il lancio di razzi-sonda dalle basi svedese e norvegese segue un accordo conosciuto come Esrange and Andøya Special Project, che ne disciplina modalità e tempistiche. Il trattato – in fase di rinnovo nel 2025 – prevede anche la collaborazione di 5 stati europei sotto coordinamento ESA: Francia, Germania, Svizzera, Svezia e, dal 1990, la Norvegia.
Dagli anni ‘60 fino ad oggi, dalla base di Andøya sono stati lanciati più di 1200 razzi-sonda, mentre nel 2024, Esrange ha celebrato il il decollo del 600°.
Tuttavia, se questa prima fase di sviluppo dell’industria spaziale nell’Artico svedese e norvegese è avvenuta in relativa tranquillità – come lasciato trasparire dalle parole di Eirik Norvoll – la situazione sarebbe drasticamente cambiata nei primi due decenni del 2000, con il crescere dell’importanza geopolitica ed economica dell’Artico.
La regione artica può essere vista come una zona di contatto, uno spazio geografico dove blocchi politici e diversi sistemi sociali si incontrano e interagiscono in modalità e su livelli diversi. Durante il Dopoguerra prima e la Guerra fredda poi, l’interazione nell’Artico tra NATO e URSS/Federazione Russa è storicamente avvenuta all’interno di uno spazio definito dall’esperto di politiche dell’Artico Michael Byers come “militarizzato, ma non armato”: sebbene costellato di stazioni radar e antenne per il tracciamento di missili balistici (come nel caso della base americana di Pituffik in Groenlandia e russa nella Terra di Francesco Giuseppe), l’Artico ha visto anche istanze molto importanti di multilateralismo, come fondazione dell’omonimo Consiglio nel 1996.
Nondimeno, negli ultimi due decenni la relativa cooperazione tra i paesi del Trattato del Nord-Atlantico e la Russia è stata in larga parte sostituita da una competizione sempre più accesa: l’invasione russa in Ucraina nel 2022 ha ridisegnato gli equilibri geopolitici e militari dell’Artico spingendo la Svezia e la Finlandia ad aderire alla Nato; e il progressivo scioglimento dei ghiacciai artici sta aprendo non solo la porta a nuove possibili rotte commerciali (come il famoso Passaggio a Nord-Ovest), ma anche all’intromissione di nuovi attori commerciali come la Cina, e a sfide come la salvaguardia della biodiversità artica e dei diritti delle popolazioni autoctone del profondo Nord. E, in questo scenario complesso, lo spazio gioca un ruolo strategico fondamentale.
Infatti, il contributo delle tecnologie spaziali nella gestione delle politiche dell’Artico è stata ed è tutt’ora sostanziale. Dal punto di vista ambientale, programmi come l’Arctic Weather Satellite dell’Esa o l’ICESat-2 della NASA, che monitorano rispettivamente l’evoluzione del tempo atmosferico e l’elevazione dei ghiacci artici, forniscono dati importanti sull’impatto del cambiamento climatico nella regione, mentre le costellazioni di satelliti come SATCOM e Starlink stanno diventando una valida alternativa per assicurare l’accesso ad internet e copertura cellulare nelle zone più remote dell’Artico.
La gestione delle telecomunicazioni nello spazio rappresenta anche la soluzione a un grave problema di sicurezza per paesi come Svezia e soprattutto la Norvegia, la quale si affida a cavi sottomarini per assicurare la fornitura di internet nelle regioni più a nord del paese: emblematico fu nel 2022 il tranciamento di un cavo al largo delle isole Svalbard, probabilmente causa di un’azione sabotatrice russa, che ha quasi completamente tagliato fuori l’arcipelago norvegese dalla rete di comunicazione globale.
Data quindi la stretta interconnessione tra Artico e spazio, lo sviluppo delle capacità di lancio di satelliti del Nord sta diventando una priorità insindacabile – oltre che lucrativa: come hanno riportato i sopracitati Sven Björkland ed Erik Simander, la moderna industria dei satelliti ha raggiunto un valore di 1800 miliardi di dollari, e l’Europa attualmente non dispone di uno spazioporto capace di lanciare satelliti all’interno dei suoi confini geografici (l’attuale base di lancio dell’ESA si trova in Guyana francese, in America latina), un vuoto che la Svezia e la Norvegia stanno cercando di colmare.
La corsa all’industria dei satelliti nell’Artico svedese e norvegese è ufficialmente iniziata, dopo una lunga fase di gestazione, nel novembre 2023, quando sia Andoya Space, in collaborazione con la start-up tedesca Isar Aerospace, che Esrange hanno inaugurano dei siti di lancio specializzati nella messa in orbita di satelliti. Da quel momento, sia la Swedish Space Corporation che Andoya Space lavorano febbrilmente per realizzare il primo lancio di un satellite dal suolo europeo.
Nel marzo 2025, l’emittente di stato norvegese NRK riporta trionfalmente che i preparativi per il lancio di un satellite dalla base di Andøya sono pressoché completati. La notizia viene ripresa immediatamente da SVT, che prova invano a contattare la Swedish Space Corporation per un commento. Il decollo del razzo, fornito da Isar Aerospace, avviene il 30 marzo, ma qualcosa va storto: dopo pochi secondi in volo, il razzo si capovolge e ricade esplodendo al suolo.
Tre mesi dopo, nel mese di giugno, la Svezia risponde siglando un concordato con gli Stati Uniti per facilitare la collaborazione tra la Swedish Space Corporation e le aziende americane nel settore aerospaziale: tra queste vi è la Firefly, la prima compagnia privata ad atterrare con successo sul suolo lunare. Tuttavia, la messa in orbita di un satellite da Esrange sembra essere ancora lontana: nonostante un investimento iniziale di oltre un miliardo di corone (circa 88 milioni di euro), l’amministratore delegato della Swedish Space Corporation, Charlotta Sund, ha affermato che il primo lancio avverrà “nei prossimi anni.”
Tutti i recenti sviluppi dell’industria dei satelliti comportano sia problemi di tipo ambientale che relativi alla sicurezza di cose e persone.
Durante il lancio di razzi, Andoya Space divide le aree adiacenti al suo spazioporto in hensynssoner (“zone di cautela”) e sikkerhetssoner (“zone di sicurezza”): le prime rappresentano le aree più lontane dallo spazioporto, dove l’accesso e il movimento di persone può essere contingentato, mentre la seconda rappresenta l’area più vicina alla piattaforma di lancio, che viene completamente chiusa al traffico stradale, aereo e marittimo. In modo simile, la Swedish Space Corporation divide lo spazio attorno a Esrange in zone chiamate A, A1, B e C, ognuna con un proprio grado di restrizioni.
Sono proprio queste limitazioni a spaventare i pescatori di Andenes: quando i razzi da Esrange e Andoya Space sorvolano le zone di pesca, restare in mare diventa o impossibile o un serio rischio per la propria incolumità. E, come affermato da Eirik Norvoll, impedire le attività di pesca rappresenta un ingente danno economico per la comunità di Andenes. La stessa Fiskarlaget ha presentato una richiesta di maggiori tutele per la sicurezza dei suoi affiliati, in particolar modo durante i lanci di razzi provenienti dalla Svezia, con il motto “senza garanzie, nessun lancio.” La protesta è stata seguita a stretto giro dalle autorità norvegesi, che hanno pubblicato un report sui rischi derivanti dalle attività di lancio di Esrange.
Tuttavia, il comparto ittico norvegese non è l’unico ad essersi lamentato delle attività di Esrange e Andoya Space. Infatti, alle proteste contro il lancio di razzi si è poi unita la popolazione autoctona dell’Artico, quella dei Sami, secondo la quale l’industria spaziale rappresenta sia una minaccia per la natura e le persone, dovuto alla tossicità dei materiali utilizzati e alla presenza di numerosi rottami di razzi ricaduti al suolo, che economico.
Infatti, i Sami sono dediti principalmente all’allevamento di renne, attività che richiede ampie aree destinate al pascolo: solo in Norvegia, esse coprono il 40% della superficie del paese – circa 14000 km quadrati. Punto nevralgico della protesta Sami è la mancanza di dialogo da parte dell’industria spaziale, come sostiene l’imprenditore sami svedese Ol-Johán Sikku:
“Le nostre attività non si fermano mai, non possiamo andarcene da qui solo perché loro [la Swedish Space Corporation, ndr.] hanno destinato alcune settimane al lancio di razzi. Loro, che parlano fuori dalla nostra terra, dicono di avere un programma spaziale che ci riguarda senza che noi venissimo in alcun modo interpellati. È come se non ci fossimo.”
La storia di Esrange e Andoya Space dimostra la cruciale importanza del legame tra spazio ed Artico. Dai vantaggi strategici in termini di sicurezza all’accesso a un mercato in rapida espansione, passando per il monitoraggio dei cambiamenti climatici e la ricerca scientifica, lo spazio rappresenta un’occasione unica di sviluppo industriale per la regione artica, e paesi come la Norvegia e la Svezia non hanno intenzione di farsela sfuggire.
Ma le proteste dei Sami e della comunità di Andenes ci ricorda che lo sviluppo rischia di avvenire a discapito delle aspirazioni e delle preoccupazioni delle popolazioni che vivono, crescono e curano i luoghi laddove l’industria nasce e progredisce.
E questo è ancora più vero in una terra come l’Artico: antica, complessa e in continuo cambiamento.
Davide De Francesco
Articolo pubblicato in partnership con Voci di Svezia
Dopo mesi di dichiarazioni altalenanti e mosse contraddittorie, Trump e Putin si incontreranno nell’artica Alaska.…
Tra onde e vento "al giardinetto", la missione scientifica della Marina Militare "High North25" non…
La rubrica settimanale da Bruxelles che raccoglie gli appuntamenti da segnare in agenda e offre…
Dall’esperienza norvegese di mediazione all’idea di un “Artico Nostrum”, il dialogo con Marcela Douglas Aranibar…
Tra drifter alla deriva, campionamenti e sedimenti millenari: a bordo dell’Alliance, la missione High North…
Nave Alliance è partita da Tromsø, direzione High North. Il nostro inviato Marco Volpe è…