Ambiente Artico

Pandemie e ambiente, il rapporto del WWF

Esiste un rapporto fra la pandemia in atto e la progressiva distruzione dell’ambiente? Sì, secondo il WWF, e non solo. La correlazione fra l’epidemia di SARS-CoV-2 (alias Coronavirus) e i problemi ambientali è forte, e vediamo subito il perché.

 

Il rapporto del WWF

Riportiamo direttamente le parole del WWF sul tema:

I Coronavirus sono una vasta famiglia di virus diffusi in molte specie animali, inclusi uccelli e mammiferi tra cui l’uomo, con cui spesso convivono in equilibrio. Il virus CoVID19 responsabile dell’epidemia che sta attualmente interessando oltre 100 Paesi, e che per questo può essere definita come pandemia,  è un nuovo ceppo di coronavirus, mai identificato prima nell’uomo. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha dichiarato essere una “emergenza internazionale di salute pubblica”. 

Sin dall’inizio dell’epidemia, pare che il virus SARS-CoV-2 abbia avuto origine intorno all’ormai famigerato mercato del pesce di Wuhan, in Cina, nella provincia di Hubei. Il tema è dibattuto, e molte ricerche internazionali stanno cercando di fare luce sulla fonte primaria del contagio.

Secondo la ricerca dello  Scripps Research Institute pubblicata su Nature Medicine, ripresa da La Repubblica, il virus ha sicuramente origine naturale, smentendo dunque la tesi complottista della creazione in laboratorio come arma batteriologica. Ma a prescindere da questo dato, dobbiamo concentrarci sul cosiddetto “Fenomeno Spillover“.

Lo Spillover rappresenta fondamentalmente il “salto” del virus patogeno dall’animale all’uomo. Consideriamo che molti animali sono portatori sani di patogeni estremamente pericolosi, e quest’ultima epidemia in atto non è certamente la prima a colpire la specie umana. Dall’ebola alla MERS, l’uomo ha a che fare con le pandemie ciclicamente, e ciò che viviamo oggi è una situazione figlia della globalizzazione e di un sistema che sta mettendo sotto forte stress gli ecosistemi.

Ancora con le parole del WWF:

Recenti studi dimostrano, infatti, la somiglianza tra il SARS-CoV-2 e altri coronavirus simili presenti in alcune specie di chirotteri appartenenti al genere Rhinolophus, che potrebbero aver costituito il serbatoio naturale del virus. Questi pipistrelli sono abbondanti e ampiamente presenti nella Cina meridionale e in tutta l’Asia, il Medio Oriente, l’Africa e l’Europa.

I chirotteri risultano tra gli ordini di mammiferi con più “familiarità” con i virus, probabilmente a causa di alcuni fattori biologici, quali l’abitudine a formare, per il riposo o il letargo, concentrazioni impressionanti (fino ad un milione di individui in un sito), ma anche la loro lunga storia evolutiva, che li ha portati a maturare con molti virus un legame di coabitazione co-evolutiva, e la capacità di volare che li porta a diffondere e contrarre virus su aree molto estese.

Nelle ultime settimane, con la crescita esponenziale della pandemia, è tornato alla ribalta un video del 2015 di Bill Gates sugli enormi rischi che viviamo oggi rispetto ai virus e alla distruzione degli ecosistemi. Si stima che circa il 75% delle malattie umane conosciute oggi abbiano origine animale, e che il 60% delle malattie emergenti siano state trasmesse da animali selvatici. «Le zoonosi causano ogni anno circa un miliardo di casi di malattia e milioni di morti», afferma ancora il WWF.

Qui il video di Bill Gates in questione:

La perdita della biodiversità

Ambiente e pandemie, qual è la relazione? In questi giorni vediamo come il lockdown del mondo occidentale e della Cina stia avendo un impatto estremamente positivo rispetto all’inquinamento medio (qui l’approfondimento di AGI).

Quale tipologia di crescita e di sviluppo vogliamo per il futuro? Al di là delle ovvie preoccupazioni di ognuno di noi, questo momento di blocco totale potrebbe tradursi anche in una riflessione sul modello di crescita che vogliamo.

L’impatto delle attività umane sugli ecosistemi naturali ha già modificato oltre il 75% dell’ambiente terrestre, e circa il 66% di quello marino (dati WWF). Oltre 1 milione di specie animali e vegetali sono a rischio estinzione.

La relazione pandemie e ambiente – rispetto alla deforestazione e alla perdita della biodiversità – è data dal fatto che aumentano le città, aumenta la popolazione delle megalopoli, e di conseguenza aumentano le possibilità di un rapido contagio. La distruzione delle foreste e degli habitat naturali fa sì che il fenomeno spillover possa essere sempre più frequente, e potenzialmente letale per milioni di persone in tutto il mondo.

Ancora il WWF:

Le foreste ospitano milioni di specie in gran parte sconosciute alla scienza moderna, tra cui virus, batteri, funghi e molti altri organismi molti dei quali parassiti, nella più parte dei casi benevoli che non riescono a vivere fuori del loro ospite e non fanno troppi danni.

Oggi però il cambiamento di uso del territorio come le strade di accesso alla foresta, l’espansione di territori di caccia e la raccolta di carne di animali selvatici , lo sviluppo di villaggi in territori prima selvaggi, ha portato la popolazione umana a un contatto più stretto con l’insorgenza del virus.

Inevitabile poi analizzare come le diseguaglianze sociali e l’inurbazione dilagante nei Paesi in via di sviluppo siano due fattori che concorrono alla creazione di potenziali “bombe a orologeria”. Come si può controllare un’epidemia di rapida diffusione in città da 8,10,15 milioni di abitanti, i cui quartieri degradati e disagiati sono impervi e senza assistenza sociale di base?

Distruggere ettari di foreste e di ecosistemi – che si sono creati in lunghi periodi storici e mantengono una stabilità e un ciclo vitale completo – equivale a un potenziale suicidio di massa.

 

I virus che vengono dal Nord

Lo scioglimento dei ghiacci è uno dei temi principali della questione climatica globale. Ma troppo poco si sente parlare del “Permafrost“, il cui scioglimento potrebbe addirittura essere una notizia peggiore della prima.

Il permafrost – in italiano con l’altisonante nome di “Permagelo” – è il nome di un tipo di terreno perennemente ghiacciato, che si trova tra l’estremo Nord Europa, la Siberia e l’America Settentrionale. Ma c’è molto di più. Quando leggiamo sui quotidiani la notizia di un nuovo innalzamento termico, e conseguente scioglimento del permafrost, pensiamo a un ghiaccio perenne.

Una terra di ghiaccio, che viene convenzionalmente considerata tale se è ghiacciata da almeno due anni. Lo strato superficiale di permafrost è il più sensibile ai cambiamenti del clima. Si scioglie durante il periodo estivo (non solo nelle regioni artiche, ma anche oltre la quota di 2,600 metri sulle Alpi, ad esempio), ma può arrivare anche a profondità di 1,500 metri in Siberia. Lo strato più profondo non ha mai subito decongelamento dall’ultima era glaciale, circa diecimila anni fa. E qui sorge il primo problema.

Nell’emisfero settentrionale le regioni in cui il permafrost è presente rappresentano il 25% del territorio (23 milioni di km²). Stando ai dati dell’International Permafrost Association – un’Organizzazione Internazionale che si occupa del monitoraggio scientifico del terreno ghiacciato – la situazione sta mutando in maniera rapida e drastica. Se utilizziamo il permafrost come “termometro” dei cambiamenti del clima e della qualità dell’aria degli ultimi secoli, scopriamo che negli ultimi decenni lo scongelamento dello stesso terreno ghiacciato si è verificato in luoghi di pianura e di montagna.

Lo scioglimento del permafrost potrebbe addirittura portarci in scenari decisamente più apocalittici. Il terreno ghiacciato ha custodito per millenni sostanze inquinanti, agenti patogeni e virus che risalgono anche al Pleistocene.

Cosa accadrebbe se venissero magicamente rilasciati nell’aria? Senza inventare storie degne di Hollywood, pensiamo all’antrace, che nel 2016 ha ucciso un ragazzo in Siberia. L’agente tossico – si è scoperto in seguito – proveniva da una carcassa di renna scongelata, morta a causa di un’epidemia oltre 75 anni fa.

E si fa risalire all’antrace anche la strage di renne dello stesso anno, che causò la morte di oltre 2mila esemplari. A completare il preoccupante quadro si aggiungono più di 1,6 milioni di tonnellate di mercurio tossico contenute nel permafrost che, a causa del suo scioglimento, sarebbero destinate a rientrare nella catena alimentare.

In conclusione, la pandemia in atto potrebbe essere solo un (terrificante) campanello d’allarme di ciò che potrebbe succedere con maggiore virulenza e maggior frequenza in futuro. Un motivo in più per prenderci cura del nostro ambiente e per ripensare globalmente la direzione che vogliamo intraprendere.

Leonardo Parigi

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Leonardo Parigi

Sono Laureato in Scienze Politiche Internazionali all’Università di Genova e di Pavia. Sono giornalista pubblicista, e collaboro con testate nazionali sui temi di logistica, trasporti, portualità e politica internazionale.

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