© Osservatorio Artico
Durante la missione High North25, a bordo di Nave Alliance si alternano turni di ricerca al multibeam, lezioni sul ponte e momenti di vita condivisa.
Location: Nord Ovest delle Svalbard
Coordinate: 79° 53. 047’ N; 008° 51. 500’ E
Meteo: Nuvoloso, freddo ancora sopportabile
Il tempo, a bordo, scorre in modo strano. Non ha più la fretta della terraferma, ma neanche il suo ordine preciso. Si dilata, si accorcia, a volte sembra fermarsi del tutto. Le ore non si contano con l’orologio, ma con il ritmo delle onde, il sole che si sposta lento sull’acqua, i suoni del lavoro che iniziano e finiscono senza un vero inizio o una vera fine. Tutto si mescola, e si finisce per misurare la giornata più con ciò che si osserva che con ciò che si fa. E’ passato poco più di una settimana, ma sembra un mese. Tra procedure di bordo, questioni legate alla sicurezza, comprensione del lavoro del Team scientifico, l’attività è intensa.
Ora che i tirocinanti si orientano nel lavoro del Multibeam si alternano nel monitoraggio dello strumento. Tempo che serve ad approfondire la conoscenza dello strumento, fugare dubbi e comprenderne a pieno il potenziale. Tutta la notte e la mattina del 10 agosto sono state dedicate allo scandagliamento del fondale. Si lavora per colmare una zona ancora priva di dati. Operiamo sempre nell’area nord-occidentale. La mattinata è libera per buona parte del team scientifico, che si dà il cambio nella acquisizione dei dati al Multi Beam. L’atmosfera a bordo è tranquilla e distesa.
Dopo pranzo la Prof.ssa Paola Rivaro raduna i tirocinanti, i membri del Team scientifico e il personale della nave per spiegare le sue attività di ricerca. Un’oretta di spiegazione e confronto che vede un’attiva partecipazione. La prof.ssa Rivaro è una veterana delle spedizioni in aree polari. La sua prima esperienza è datata 1994. High North25 è la sua dodicesima spedizione e la prima in Artide. A bordo prima sull’Italica e poi sulla Laura Bassi (navi supporto al Programma Nazionale Ricerca Antartico – PNRA) ha studiato le alterazioni chimiche della acque in collaborazione con ecologi marini ed oceanografi fisici.
“Conoscevo pochissime persone, ma mi sono sentita subito ben accolta. I colleghi dell’IIM hanno offerto fin da subito un supporto tecnico, scientifico e anche umano. Dal punto di vista organizzativo, le differenze con le spedizioni in Antartide sono poche: riunioni, meeting e briefing operativi scandiscono le giornate. Una pianificazione ben studiata permette un lavoro di campionamento efficace e senza intoppi – un aspetto fondamentale, perché un errore in fase di campionamento è spesso irrimediabile.
“La dimensione umana è molto presente e fatta di piccoli episodi che restano impressi. Ad esempio, oggi stavo prendendo una boccata d’aria sul ponte, quando si è avvicinato un membro dell’equipaggio. Oltre a chiedermi se avessi bisogno di qualcosa, mi ha posto diverse domande – tutt’altro che retoriche – sulle mie ricerche. Niente di scontato né dovuto, ma sincero interesse verso le mie e le nostre attività che scandiscono i tempi e le manovre di tutta la nave.”
“Il ponte è davvero un crocevia di incontri. Anche nei momenti di calma, è il punto in cui ci si imbatte in storie e racconti, si scambiano due chiacchiere tra un’attività e l’altra, tra chi rientra dal turno e chi inizia a prepararsi. È lo spazio delle discussioni più o meno veloci, degli scambi di impressioni, dei racconti a metà tra il sonno e il caffè. Qui, più che altrove, si percepisce il ritmo collettivo della vita a bordo, fatto di passaggi, sguardi, piccoli gesti che tengono insieme il gruppo. Durante la mensa continuata del sabato sera ho incontrato il comandante, una mia vecchia conoscenza risalente a una campagna in Antartide di undici anni fa. Abbiamo approfondito la natura delle mie ricerche passate e gli studi che sto conducendo a bordo.”
“Indipendentemente dal grado, dal ruolo o dall’incarico, ho percepito un interesse sincero e genuino da parte di tutti, che li rende partecipi e protagonisti delle attività scientifiche, contribuendo a creare un ambiente sereno e favorevole al lavoro. Un lavoro che, in realtà, è utile anche per me: mi offre l’occasione di spiegare in modo comprensibile – anche a chi non è del settore – gli obiettivi e l’importanza delle mie ricerche”.
Di mare fuori ne abbiamo in abbondanza, ma grazie agli studi della prof.ssa Rivaro abbiamo esplorato il mare dentro, indagando la composizione chimica delle acque marine artiche.
Marco Volpe
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