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Grandi giganti silenziosi: dalle immense distese ai confini della Terra alle zone più elevate del nostro Pianeta, i ghiacciai mantengono la loro presenza incantata e misteriosa all’occhio dell’osservatore. Come anziani testimoni della natura, ci raccontano la loro storia con silenzio e saggezza.
La glaciologia strutturale è la disciplina che studia le complesse forme interne ed esterne dei ghiacciai. Questo campo è particolarmente affascinante per la sua stretta connessione con la geologia strutturale, la branca della geologia che studia le grandi e piccole forme osservabili nelle rocce del nostro Pianeta, le stesse che ci aiutano a ricostruire la storia geologica delle nostre vicine Alpi ed Appennini.
Secondo uno studio pubblicato nel 2000, “la modalità con cui il ghiaccio si deforma somiglia a quella delle rocce“. Questo concetto si basa sull’idea per la quale, a causa delle variazioni di pressione, sollecitazioni e temperature, le rocce possano cambiare forma nel tempo. Le antiche forme incise nella roccia sono spesso analoghe a quelle osservate nel ghiaccio, con una fondamentale e affascinante differenza: il ghiaccio si trasforma in tempi così rapidi da essere osservabile persino nel corso della breve vita di un singolo individuo.
Questi processi e modifiche lasciano un’impronta visibile non solo sulla superficie, ma anche all’interno dei ghiacciai stessi. Tra i fattori più influenti, al centro di tali modifiche, vi è il clima. Non a caso, i ghiacciai sono spesso descritti come “archivi del clima”; una definizione che si rivela sorprendentemente accurata sotto molti punti di vista.
Secondo Harold Lovell, glaciologo dell’Università di Portsmouth, è possibile ricostruire la dinamica e il regime termico passato dei ghiacciai analizzando le loro strutture interne. Un esempio concreto di questo approccio è stata la ricerca condotta da Heidi Sevestre e il suo team nel 2015, pubblicata sulla rivista dell’American Geophysical Union (AGU).
Lo studio si concentra su sei ghiacciai delle isole Svalbard, nell’Artico, e ci aiuta a capire come si sono evoluti nel tempo: tutti i casi analizzati hanno visto un “massimo glaciale”, indice di massima estensione ed attività, durante quella che viene chiamata LIA (Little Ice Age), Piccola Era Glaciale, giunta a termine intorno a metà XIX secolo. Questo primo importante dato evidenzia il legame tra la vita del ghiaccio, e il clima.
Possiamo scoprire più in dettaglio questo argomento leggendo le storie raccontate da tre di questi ghiacciai in particolare: Longyearbreen e Tellbreen, in prossimità di Longyearbyen; e Midtre Lovénbreen, nei pressi del polo di ricerca di Ny-Ålesund. Si tratta di ghiacciai dalle dimensioni ridotte, che si sviluppano in valli e risultano piuttosto “stabili”, cioè non mostrano un’avanzata significativa anno dopo anno.
L’analisi termica condotta su questi ghiacciai ha rivelato un dato interessante: la loro base è congelata, cioè il ghiaccio poggia sul terreno senza uno strato d’acqua che ne favorisca lo scorrimento. Questo è tipico dei ghiacciai detti “cold-based”, a base fredda, che hanno movimenti molto lenti o quasi nulli. Un’eccezione parziale è Midtre Lovénbreen, che presenta aree più calde e attive: si tratta di un ghiacciaio “politermico”, con una base a temperatura più variabile.
Per capire meglio la storia di questi ghiacciai, i ricercatori hanno mappato anche le strutture superficiali e interne, come i crepacci e le deformazioni del ghiaccio. I crepacci, ad esempio, forme conosciute dal pubblico più ampio, ci possono indicare quanto un ghiacciaio sia attivo: più sono pervasivi, più il ghiacciaio sarà dinamico. Nei tre ghiacciai in questione, la presenza di pochi crepacci conferma la bassa attività attuale.
Per indagare l’interno dei ghiacciai, Sevestre e il suo team hanno utilizzato il Ground Penetrating Radar (GPR), uno strumento che usa onde radar per “vedere” dentro il ghiaccio, fino anche a raggiungere il terreno sottostante. Per analizzare invece la superficie, durante ricerche svolte da diversi gruppi a livello internazionale, sono stati impiegati droni e immagini satellitari, utili a mappare le forme visibili dall’alto di ognuno dei ghiacciai menzionati. Questo insieme di dati, dai più superficiali a quelli acquisiti a maggiori profondità, permette di ricostruire il passato di ciascun ghiacciaio.
Le strutture osservate, insieme ai dati termici, indicano che in passato questi ghiacciai erano molto più dinamici di oggi, grazie ad esempio a temperature medie più fredde. Le loro somiglianze suggeriscono una storia comune, fatta di fasi climatiche analoghe.
Come nella geologia, anche nello studio dei ghiacci è importante osservare come le forme si incontrano e si sovrappongono, per ricostruire la loro cronologia.
I ghiacciai raccontano una storia silenziosa, fatta di tempo e movimento: il diverso comportamento assunto da questi nel corso della storia ci ricorda quanto sia centrale il ruolo del clima e del suo cambiamento.
Elena Ciavarelli
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