Torna in Italia dopo trent’anni il più importante forum internazionale per la revisione del Trattato Antartico, pietra miliare della diplomazia scientifica.
“ATCM 47” in scena a Milano
A partire dal 23 giugno, sino al 3 luglio, presso il Centro Congressi Fiera Milano (MI.CO), si svolgerà il quarantasettesimo Antarctic Treaty Consultative Meeting, l’annuale forum delle “parti consultive” del Trattato Antartico. Si tratta di un appuntamento molto atteso, per diversi motivi, connessi all’elezione del nuovo Segretario esecutivo del Segretariato (“braccio operativo” dell’ATCM) e a vari dossier aperti, tra i quali la proposta cinese di costruzione della propria sesta base, nella Terra di Marie Byrd.
L’ultima volta delle parti consultive in Italia risale al 1992, quando i negoziati antartici si svolsero a Venezia. All’epoca, le delegazioni erano reduci dalla sottoscrizione del “Protocollo sulla protezione dell’ambiente antartico” e l’intenzione comune era quella di accelerare i passaggi necessari a darne attuazione. L’ATCM 17di Venezia si concluse con l’assunzione di importanti delibere, come la raccomandazione XVII-1 sul monitoraggio ambientale.
Nel corso dei successivi anni, l’ATCM e il CEP (il Comitato per la protezione ambientale) hanno predisposto e aggiornato numerose linee guida, ad esempio per l’attuazione del quadro delle aree protette (2000), per lo sviluppo e la progettazione di programmi di monitoraggio ambientale (2005) e per la valutazione d’impatto ambientale (ultimo aggiornamento del 2016) – nonché numerose decisioni e raccomandazioni, codici di condotta e manuali operativi.
Quasi paradossalmente, tuttavia, la spinta verso politiche volte a tutelare in maniera incondizionata l’ambiente antartico ha perso vigore mano a mano che i dati scientifici sono andati confermando i timori sul cambiamento climatico affiorati intorno alla fine degli anni Ottanta. Delle 82 aree specialmente protette, riconosciute a partire dal 1966, solamente 29 sono state proposte e costituite negli ultimi trent’anni e solamente sette negli ultimi dieci anni. L’art. 16 del Protocollo ambientale – sulla responsabilità per i danni derivanti da attività antropiche – è rimasto “lettera morta”, perché il testo elaborato all’esito dell’ATCM 28, svoltosi a Stoccolma nel 2005, non è stato approvato da tutte le parti consultive.
Nonostante la creazione (nel 2016) della più grande area marina protetta del mondo – quella del Mare di Ross, che si estende su 1,55 milioni di km² – la Commissione per la protezione delle risorse marine viventi in Antartide non è riuscita nell’intento di creare un sistema di aree marine sottoposte a tutela: ciò a causa della sistematica opposizione di alcuni Stati (Norvegia e Cina in particolare, primi e secondi nella classifica dei pescatori di krill). Sul piano della cooperazione nella ricerca scientifica, nonostante vari accordi per lo scambio di informazioni e il numero sempre crescente di programmi di ricerca nazionali, il modello di “gestione condivisa” della base italo-francese Concordia è rimasto inimitato.
Visto nell’insieme, lo scenario dell’ultimo trentennio di negoziati è contraddistinto da un crescente “individualismo” degli Stati, con una diminuita cooperazione internazionale e con interessi commerciali (turismo e pesca su tutti) sempre più centrali. Neppure può essere negato l’acuirsi di tensioni geo-politiche, che nella maggior parte dei casi (ma non sempre) poggiano sulle formali rivendicazioni territoriali congelate con l’entrata in vigore (nel 1961) del trattato antartico.
Non pare casuale che con il working paper denominato “Confirming ongoing commitment to the prohibition of mining activity in Antarctica, other then for scientific research” – presentato nel corso dell’ATCM 38 del 2016, svoltosi in Brasile – un nutrito gruppo di Stati abbia voluto smentire la convinzione, alquanto diffusa anche tra gli esperti, secondo cui il divieto di sfruttamento delle risorse dell’Antartide scadrebbe nel 2048. Cionondimeno, nel corso dell’ATCM di Praga del 2019, la Russia ha sottoposto alle parti consultive un documento con il quale, apertamente, denuncia come il trattato antartico abbia raggiunto il suo scopo e debba essere sostituito da un nuovo accordo internazionale.
Le sfide dei nostri tempi – non solamente le problematiche connesse al global warming ma anche le crescenti tensioni geopolitiche – riguardano l’Antartide più di quanto non potrebbe apparire a prima vista, ad esempio in ottica comparata rispetto all’Artico. Nondimeno, esperti e scienziati evidenziano continuamente e con dati sempre più chiari ed univoci, quanto il destino nostro e del pianeta Terra dipenda dalla preservazione del continente antartico.
L’anno scorso, nel corso dell’ATCM celebrato a a Kochi, in India, il dott. Shailesh Nayak (Direttore del National Institute of Advanced Studies, già Segretario del Ministero delle Scienze della Terra del governo indiano) ha pronunciato parole che suonano da monito: “… the third issue involved the increasing demand for resources and the potential for exploitation of mineral resources, noting that the Environment Protocol prohibited such activity only for Contracting Parties, which could further be aggravated by unregulated tourism. ”
Inevitabilmente, i temi della gestione comune dell’Antartide, della conservazione dell’ambiente e della cooperazione nella ricerca scientifica, dovranno essere affrontati in una prospettiva di lungo periodo e inclusiva (al momento meno di un terzo degli Stati del mondo ha aderito al trattato antartico) affinché il continente bianco possa continuare, per consuetudine oltreché per convenzione, ad essere considerato terra di pace e di scienza, terra di tutti e terra incontaminata.
Alberto Muzzi
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