Arctic Plastic © Maurizio Milesi
Maurizio Milesi, fotografo e velista: “La wilderness artica continua a pagare il prezzo della plastica, e chi la pulisce è anche chi deve pagarne lo smaltimento”.
“Sono fotografo dal 2017, ma il mio percorso ha preso una direzione diversa dopo il Covid. Sono di Bergamo, ne porto ancora addosso il peso. Nel 2021 ho iniziato a lavorare nella comunicazione di un’azienda e nel 2023 sono passato alle barche a vela. Una stagione nel Mediterraneo è bastata per capire quanto l’inquinamento marino sia un problema enorme: da lì ho deciso che volevo raccontarlo, non solo guardarlo. Così ho contattato “In The Same Boat” e ho organizzato una spedizione con loro. Mi sono unito all’equipaggio ad Andøya e da lì siamo risaliti fino a nord, spingendoci anche alle Svalbard“.
Maurizio Milesi, classe 1993, fotografa il mondo con la tripla visione di attivista, marinaio e fotografo. Attività che gli hanno permesso di arrivare anche nel Grande Nord, dove la purezza delle acque è ormai solo un mito, e dove le correnti trascinano plastica e interessi. I suoi scatti della pandemia, raccolti poi nel libro “Epicentro”, sono stati solo una base di partenza per raccontare altre latitudini, altri volti del contemporaneo.
“La Norvegia è percepita come un modello di sostenibilità, e in parte lo è. Ma qui anche le Ong devono pagare come attori privati per smaltire i rifiuti che raccolgono, anche se fanno un lavoro che dovrebbe essere pubblico. L’ho visto in tantissimi porti: container pieni di reti fantasma, corde, e migliaia di piccole sfere di plastica disperse dall’industria della pesca (le cosiddette trawl balls), e ogni volta la fattura arriva a chi pulisce, non a chi inquina. Questo è uno dei punti più urgenti del problema: l’aspetto dei “costi nascosti”.
Oltre l’80% della plastica che Milesi ha raccolto, insieme al resto dell’equipaggio, deriva dall’industria ittica. Reti, tubi rotti, sacchi. “In alcuni tratti di Finnmark abbiamo raccolto 600 kg di rifiuti per chilometro, e in zone esposte a nord si superano i 2000. Abbiamo trovato anche una bottiglia americana arrivata qui dopo un incidente nell’Atlantico. La corrente del Golfo fa il resto. L’Artico non è isolato: è il punto di arrivo del nostro sistema globale dei rifiuti.
Emma, un’ingegnera francese, mi ha detto: «Le soluzioni esistono, ma raccogliere plastica qui fuori ha un effetto tangibile. È reale». Sono giovani che vivono per settimane su barche a vela, dormono in cabine umide, affrontano vento, pioggia, freddo. Ma sorridono sempre. È un racconto di resilienza collettiva, dentro un paesaggio fragile e spesso ostile”. Il prossimo passo sarà un’altra spedizione, sempre nell’Artico, alla ricerca di nuovi volti, e di nuove soluzioni.
Leonardo Parigi
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