Foto: Arctic Circle
Durante l’Arctic Circle Assembly di Reykjavík, abbiamo intervistato Andreas Raspotnik, ricercatore del Fridtjof Nansen Institute e direttore dell’High North Center, per analizzare il futuro del Consiglio Artico, le prospettive della cooperazione scientifica con la Russia e il ruolo dell’Unione Europea nel rilanciare il dialogo multilaterale nella regione.
Nel contesto dell’Arctic Circle Assembly di Reykjavík, uno dei temi centrali è stato il futuro della cooperazione artica in un quadro politico frammentato. Tra le questioni più dibattute, il ruolo del Consiglio Artico, la sospensione dei rapporti scientifici con la Russia e le prospettive della Northern Sea Route. Ne abbiamo parlato con il prof. Andreas Raspotnik, Senior Researcher presso il Fridtjof Nansen Institute e direttore dell’High North Center della Nord University di Bodø, autore di numerosi studi sulle dinamiche politiche e istituzionali della regione.
“Il Consiglio Artico resta una struttura fondamentale che va preservata. Ha funzionato per molti anni e, una volta perso un quadro come questo, è estremamente difficile ricostruirlo. Creare un foro di questo tipo richiede un contesto politico e storico favorevole, che non è facile riprodurre.”
“Dunque, non è morto. Forse non funziona più come era stato concepito in origine, ma i gruppi di lavoro restano attivi e si riuniscono ancora, perlopiù in formato digitale. Ciò che appare improbabile nel breve periodo è una riunione dei ministri degli Esteri: questa richiederebbe la partecipazione di tutti i membri, ma la Russia non può essere invitata. Di conseguenza, l’incontro non avrebbe senso.”
Dal punto di vista europeo, l’Unione è da sempre un progetto di pace e, in quanto tale, un promotore del multilateralismo. Tuttavia, l’Artico rappresenta per l’UE un ambito complesso, in parte per l’assenza di una chiara visione strategica di ciò che “Artico” significhi davvero per l’Europa. La regione è, sotto molti aspetti, una costruzione sociale e politica, che varia a seconda degli attori e dei governi coinvolti.
All’interno dell’attuale quadro, l’UE svolge già un ruolo attivo. Partecipa all’Accordo sulla pesca nell’Oceano Artico centrale, detiene lo status di osservatore presso il Consiglio Artico e segue da vicino gli sviluppi regionali. La questione non è se l’UE possa sostituire le strutture esistenti (l’Artico è già più che regolato dal diritto del mare, dalle giurisdizioni nazionali e dagli accordi bilaterali), ma come possa sostenerle al meglio.
Un esempio è l’Arctic Urban Regional Cooperation Programme, che ha riunito quattordici (quindici, N.d.R.) città artiche per condividere esperienze e buone pratiche. Questa iniziativa, sostenuta dai finanziamenti dell’UE, ha promosso con successo la cooperazione regionale e coinvolto partner canadesi e statunitensi insieme a quelli dell’Artico europeo.
“La sospensione della cooperazione scientifica con la Russia ha creato vuoti evidenti, in particolare nelle serie di dati a lungo termine e nel monitoraggio dell’Artico. Chi in passato ha lavorato con istituzioni russe potrebbe quantificare meglio le perdite dovute alle sanzioni, ma il problema va oltre i dati: riguarda l’interruzione di reti costruite nel corso di decenni.
Oggi la priorità è concentrarsi su ciò che si può ancora realizzare con le risorse disponibili. Potrebbe sembrare allettante invocare una ripresa della cooperazione, ma non si può ignorare che la guerra avviata dalla Russia contro l’Ucraina ha cambiato in modo radicale le condizioni per qualsiasi collaborazione. Più che cercare di tornare a uno status quo precedente, occorre utilizzare al meglio i meccanismi e le partnership già esistenti.”
Attualmente, la maggior parte delle iniziative avviene in forma bilaterale, per esempio tra Paesi europei e nordici, o tra Europa e Canada, e anche queste affrontano ostacoli: finanziamenti limitati, carenza di personale e la vastità stessa dell’Artico. La priorità dovrebbe essere consolidare ciò che continua a funzionare e rafforzare la cooperazione all’interno dei quadri già disponibili.”
“Anche se la guerra in Ucraina finisse domani, la ricostruzione della fiducia richiederebbe anni. Alcuni individui o istituzioni potrebbero essere disposti a riprendere la collaborazione su progetti specifici, ma il quadro generale è molto più complesso.
Dal punto di vista europeo, la fiducia nella Russia è stata profondamente scossa e il suo ripristino dipenderà non solo dalla fine del conflitto, ma anche dal tipo di leadership che il Paese avrà in futuro. Un cambio di guida potrebbe modificare le dinamiche, ma riconquistare credibilità e fiducia resterebbe comunque un processo lungo. Forse toccherà alla prossima generazione, in Russia come in Europa, ricostruire le basi per una cooperazione significativa.
Tutti sperano nella fine della guerra, perché nessuno vuole vivere in una simile condizione. È una situazione devastante e dolorosa per chi ne è colpito, e l’obiettivo comune deve restare il ritorno alla pace.”
Un’ultima domanda sulla Northern Sea Route. Come dovrebbe porsi l’Unione Europea come blocco unitario: opponendosi al progetto, ignorandolo o cercando di trarne vantaggio?
“La Northern Sea Route è innanzitutto una questione economica. Il traffico lungo la costa artica russa continua, in particolare con le esportazioni di GNL, e si tratta di dinamiche che l’Europa deve osservare con attenzione. L’aumento della navigazione comporta rischi potenziali – dagli incidenti ambientali al largo della Norvegia settentrionale alle operazioni di ricerca e soccorso – ed è quindi essenziale mantenere consapevolezza, anche in assenza di una cooperazione diretta.
Poiché la rotta è sotto giurisdizione russa, chi sceglie di utilizzarla deve rispettare le normative di Mosca e affidarsi alle sue rompighiaccio e alle sue infrastrutture. Per questo motivo la questione è meno politica che economica: se ci sono aziende disposte a operare e assicuratori pronti a coprirle, la navigazione avverrà. Per ora, tuttavia, la maggior parte delle compagnie europee evita la rotta e le coperture assicurative restano limitate.
In definitiva, la logica è quella del mercato. Finché domanda e condizioni lo permetteranno, saranno gli interessi commerciali a prevalere.”
Tommaso Bontempi
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