Foto © Osservatorio Artico
Tra cooperazione scientifica e proiezioni strategiche, il ruolo della Cina nell’Artico è percepito spesso come più pervasivo di quanto in realtà sia. Le prospettive dei massimi esperti a confronto durante Arctic Circle Assembly
L’Arctic Circle Assembly è uno dei momenti dell’anno in cui tutto ciò che riguarda l’Artico – politica, scienza, cooperazione, economia, clima, sicurezza – viene messo attorno allo stesso tavolo. È un evento enorme e molto eterogeneo, dove ministri, ambasciatori, scienziati, ricercatori, esperti, ONG, studenti, imprese e comunità indigene si incontrano per discutere i temi più attuali che riguardano la regione. È uno spazio pensato per far incontrare mondi anche distanti, che difficilmente riescono ad avere un dialogo diretto nell’arco dell’anno.
Nel primo giorno di assemblea ho seguito e partecipato a due panel dedicati alla Cina nell’Artico. È stato interessante perché, nel giro di poche ore, si sono viste allo stesso tempo le aspettative, le paure e i fraintendimenti che circondano il ruolo di Pechino nella regione. Da una parte c’è chi mette in dubbio la reale portata strategica della Cina nell’Artico, dall’altra c’è chi considera inevitabile la sua presenza – soprattutto per le attività scientifiche – e chi teme invece gli effetti del confronto globale con Stati Uniti e Russia.
Nei panel sono intervenuti i massimi esperti che hanno contribuito in gran parte a rafforzare quella narrativa di una presenza cinese nella regione molto ridotta rispetto a quanto previsto solo qualche anno fa.
Henry Lee, co-chair di Arctic Initiative del Belfer Centre della Harvard Kennedy School, è intervenuto sulla governance marittima, esprimendo scetticismo sul ruolo strategico della Cina nell’Artico. Secondo lui, l’interesse di Pechino riguarda più la diversificazione delle rotte economiche che una vera strategia regionale. La Russia continua a valorizzare le capacità finanziarie della Cina, ma esiste un ampio divario tra il potenziale cinese e gli investimenti effettivi nell’Artico, anche nel settore dei minerali necessari alla transizione energetica.
Rasmus Bertelsen, professore di Relazioni Internazionali dell’Arctic University of Norway, ha ricordato l’importanza di avere USA, Cina e Russia allo stesso tavolo – come nei periodi di maggiore cooperazione – e ha sottolineato che è più importante parlare con le persone piuttosto che sulle persone. Ha evidenziato il peso demografico dell’Asia e il fatto che la forza europea nel tempo si è plasmata soprattutto su scienza e tecnologia, un punto su cui oggi la Cina punta tantissimo, anche in Artico.
La politica mondiale è oggi definita da un triangolo USA–Cina–Russia, mentre i Paesi nordici restano piuttosto marginalizzati e condizionati dal conflitto tra grandi potenze. Ha inoltre ricordato che l’evoluzione della politica artica cinese è stata piuttosto coerente nel tempo, senza svolte drammatiche, nonostante le percezioni esterne.
Il panel successivo era dedicato al CIAO (China–Iceland Arctic Observatory), un centro che rappresenta uno degli esempi più concreti di cooperazione scientifica bilaterale tra Cina e Islanda. L’anno scorso a cavallo dell’Arctic Circle Assembly ho avuto la chance preziosissima di visitare la struttura, oggetto di crescente scetticismo sul suo potenziale dual-use.
La sessione ha evidenziato come la Cina utilizzi la scienza artica per comprendere fenomeni globali come i cambiamenti climatici, l’innalzamento del livello del mare e l’acidificazione degli oceani, con un approccio fortemente orientato alla ricerca e alla raccolta dati. Il CIAO emerge quindi non solo come piattaforma scientifica, ma anche come ponte diplomatico dove la cooperazione pratica contribuisce a costruire fiducia e canali di dialogo tra grandi e piccoli attori nella regione artica.
All’interno della sessione sono intervenuti Zheng Tijun, Deputy Director del Polar Research Institute of China (PRIC), che ha illustrato la cooperazione tra Cina e Islanda nell’Artico. Egill Thor Nielsson, Senior Advisor di Rannis, ha ripercorso la storia dei rapporti sino-islandesi nel Consiglio Artico, ricordando come per la Cina la priorità fosse la ricerca scientifica, con la creazione di CIAO e CNARC.
Agust Hjörtur Ingborsson, Direttore Generale di Rannis ha descritto il ruolo internazionale crescente di Rannis e l’eccellente infrastruttura scientifica condivisa e il ruolo cruciale di CIAO, anche in vista di future collaborazioni con l’ESA.
Chen Lilun del PRIC ha spiegato le ragioni dell’interesse cinese per la ricerca artica: comprendere i legami atmosferici tra Artico e Antartide, l’innalzamento del livello del mare, i cambiamenti oceanici, l’acidificazione. Le coste cinesi sono vulnerabili a questi processi. Le missioni cinesi includono osservazioni del ghiaccio marino e boe scientifiche, che hanno già prodotto risultati importanti come la rilevazione di forte acidificazione. A sostegno di ciò è doveroso menzionare una delle attività di punta realizzate dalla Cina solo pochi mesi fa, con l’immersione del sommergibile Jiaolong sotto la calotta polare nell’ambito della quindicesima spedizione scientifica cinese in artico.
Rasmus Bertelsen, intervenendo dal pubblico, ha ricordato il recente disimpegno danese dalle cooperazioni con la Cina, chiedendo come sia possibile riattivare il dialogo senza creare panico e senza letture polarizzate.
Dall’insieme dei panel emerge un quadro chiaro: la Cina è oggi un attore stabile nell’Artico, soprattutto tramite la scienza e la cooperazione tecnica, mentre il suo peso strategico è percepito in modi divergenti. Esiste un divario tra ciò che viene immaginato o temuto e ciò che la Cina sta effettivamente facendo nella regione. Allo stesso tempo, nessuno degli attori propone una sua esclusione: la Cina è ormai parte strutturale dell’ecosistema artico contemporaneo.
Molte tensioni non nascono nell’Artico, ma arrivano nell’Artico dal sistema globale definito dal triangolo USA–Cina–Russia. In questo quadro, gli attori europei e nordici appaiono spesso reattivi e privi di una strategia autonoma. Un punto di convergenza rimane però evidente: la cooperazione scientifica continua a essere uno degli ultimi spazi di dialogo praticabile, trasparente e verificabile, anche quando la politica si irrigidisce. La questione aperta non è quindi se la Cina debba partecipare all’Artico, ma come il resto del mondo sceglierà di relazionarsi con lei senza farsi guidare da paura, inerzia o automatismi geopolitici.
Marco Volpe
Un wargame realizzato dal Centro Alti Studi Difesa porta gli studenti a confrontarsi sulle nuove…
La cooperazione tra la Russia e la Cina lungo la Northern Sea Route punta a…
Un’anomalia termica stagionale senza precedenti presso le Isole Svalbard dimostra al mondo intero come sarà…
Durante l’Arctic Circle Assembly di Reykjavík, abbiamo intervistato Andreas Raspotnik, ricercatore del Fridtjof Nansen Institute…
Pubblicato 2050: la Guerra dei Ghiacci, un libro che intreccia geopolitica, ricerca e prospettiva umana…
Dopo aver riflettuto, nella prima parte, sul ruolo del dialogo e delle comunità artiche nella…