Norvegia

Artico Nostrum, la Norvegia e la pace in tempi di riarmo

Dopo aver riflettuto, nella prima parte, sul ruolo del dialogo e delle comunità artiche nella costruzione di una cultura della pace, Marcela Douglas Aranibar affronta qui le contraddizioni della Norvegia contemporanea: potenza energetica e mediatrice, esportatrice di armi e promotrice di diritti umani, esempio di equilibrio ma anche di fragilità in un contesto geopolitico sempre più teso.

Bilanciare necessità e virtù per un modello di pace sostenibile

Possono le scelte di uno stato e della sua società bastare a sostenere la visione non-violenta di un “Artico Nostrum”, come polo di equilibrio globale?

Il Regno di Norvegia considera l’Artico come un’area di responsabilità strategica cardine per l’equilibrio geopolitico, sia regionale che polare, impegnandosi a promuovere una diplomazia attenta e a coltivare una politica orientata alla “sicurezza, stabilità e cooperazione internazionale pragmatica (interest-based, ndr)”, come definito dalla sua pubblicazione ufficiale sulla Politica Artica. Ma il rapporto tra l’Artico ed il resto del mondo è davvero a senso unico?

“La Norvegia può offrire molte risorse naturali, piani per la stabilità ed una lunga storia di pace interna. Tutto ciò ha il suo peso sul tavolo delle trattative. Certo, noi siamo pochi, ed abbiamo molto petrolio che può essere preso con la forza.”

Ad offrire un punto di vista critico è Marcela Douglas Aranibar, dal 2019 Direttrice del Centro di Studi sulla Pace dell’Università Artica della Norvegia, a cui abbiamo chiesto del ruolo ambivalente del Regno di Norvegia, come attore interessato ed allo stesso tempo mediatore d’interessi di sviluppo globale, con una visione che dall’Artico si estende alle “aree calde”.

Marcela Douglas Aranibar. Foto: UiT

“È importante non idealizzare la pace come una totale assenza di conflitto… possiamo parlare di modelli e di una cultura pratica della pace, perché qui nell’Artico non c’è un conflitto tradizionale in atto, ma dovremmo anche essere critici, perché in Norvegia produciamo anche armi. Ci stiamo arricchendo molto con le guerre ed i conflitti. Questo è l’altro lato della medaglia. Molte persone non riflettono su questo.”

Marcela, come credi che la Norvegia stia bilanciando i suoi interessi artici con l’impegno di promuovere la pace, la giustizia sociale e gli aiuti umanitari, in aree di conflitto attivo?

“È molto complesso. Credo che il nostro primo ministro stia facendo un buon lavoro, poiché è stato molto chiaro circa il disastro a Gaza. Non ci sono altre parole, non parlo di conflitto perché non è un conflitto. C’è un blocco degli aiuti umanitari diretti ai bambini… [eppure] tutti parlano di pace ultimamente. Putin, Trump, anche il Papa.”

“È una parola molto popolare al momento, ma cosa significa? Qual è il modo con cui viene utilizzata? È inflazionata, sta perdendo valore. Non è la pace del disarmo, non credo che la vedremo presto applicata in Ucraina, come sperato. Non credo che vedremo una vera soluzione di pace in Ucraina, piuttosto una dura occupazione… Questa non è pace.”

Credi che la strumentalizzazione della “pace” per promuovere invece la “sicurezza” intesa come irreggimentazione delle società, da parte di attori artici come gli Stati Uniti e la Russia, sia inevitabile per tutti? La Norvegia sarà forse la prossima ad abbandonare le sue pratiche pacifiche?

“C’è sicuramente un cambiamento in atto. Da un lato è in Norvegia che si consegna il Premio Nobel per la pace; siamo attivi in molte negoziazioni in tutto il mondo, come in Colombia e nelle Filippine; in Norvegia abbiamo sette centri per la pace in totale, sostenuti per mandato governativo al fine di costruire conoscenze e competenze in ambito di dialogo democratico ed altri settori; la nostra società è basata sull’egalitarismo, i diritti umani, la diversità e l’inclusione.”

“Dall’altro lato, invece, siamo sotto pressione. I cambiamenti geopolitici ci stanno influenzando come
nazione, con questa necessità di militarizzarci a nostra volta, sottraendo fondi ad altre dimensioni
importanti. Dalla nostra abbiamo ancora la nostra storia, il modo di lavorare delle nostre istituzioni,
una grande fiducia reciproca sia in società che nelle nostre cariche governative. Tutto ciò, ovviamente, non va dato per scontato. Siamo sotto pressione.”

Re Harald passa in rassegna i cadetti durante il 50° anniversario dell’Accademia militare norvegese, dove il re stesso fu un tempo cadetto. La foto risale al 2009. Fonte: Flickr.com/Metziker

Credi che questo andamento narrativo globale di “peace-washing” rappresenti una minaccia per la Norvegia, mettendo in discussione i suoi valori umanitari?

“Credo di sì, perché ormai molti fondi Norvegesi sono stati allocati al militare ed alla militarizzazione,
in controtendenza allo smantellamento delle difese che abbiamo intrapreso negli anni ’90. Tutto ciò è stato richiesto da un membro della NATO, a fronte della situazione con la Russia.”

“La tensione è palpabile e la Norvegia è costretta a mostrare i muscoli, seppur con riguardo. Essendo che molti fondi andranno alla militarizzazione, ne avremo di meno in altri settori, come l’educazione superiore
e gli aiuti umanitari globali.”

Marcela, da una prospettiva di pace, quale credi debba essere la priorità numero uno della Norvegia, in termini di sicurezza globale ed in particolare artica?

“Penso che per la Norvegia sia essenziale che la guerra in Ucraina cessi e senza un’occupazione russa. Questo perché, così come molti paesi dell’ex Unione Sovietica sono soggetti a manipolazioni elettorali affinché si schierino con Putin – e ricordiamo che Putin non è la Russia – così l’Ucraina non deve seguire lo stesso destino, ma ottenere una piena libertà, non solo la fine della guerra. Un risultato diverso potrebbe esasperare le tensioni in Norvegia e nell’Artico.”

Il ghiaccio sottile della cooperazione

Nonostante gli sforzi, la Norvegia naviga sfide costanti nel garantire che le sue politiche artiche e socio-economiche abbiano un impatto positivo e diretto sulla cooperazione e lo sviluppo internazionale. Gli interessi norvegesi s’intersecano con le esigenze globali di sicurezza e salute pubblica, delineando un panorama in cui il tradizionale impegno nei confronti della comunità internazionale e delle popolazioni fragili è chiamato a rispondere di un’economia di sviluppo protagonista in mercati smaliziati, primi tra tutti l’energetico fossile ed il militare.

L’evoluzione dell’Artico nel 2025 risulta quindi aperta all’influenza del pensiero non-artico, con grande attesa ed interesse da parte degli Otto nel capire quale sarà la portata dell’imminente onda di ritorno geopolitica dalle aree europea e mediterranea, specialmente in Norvegia, che a valle delle elezioni parlamentari ha visto riconfermato Jonas Gahr Støre alla guida del Paese.

Jonas Gahr Støre

Marcela, credi che la Norvegia abbia ancora un’influenza diplomatica nell’Artico?

“Sì, certamente… Quando c’è la percezione di un nemico alle porte, è importante rafforzare la collaborazione interna, ed è quello che sta accadendo… D’altra parte, in Europa la tendenza elettorale suggerisce una narrativa che favorisca le economie nazionali e che sia contraria all’immigrazione. Più soldi e meno immigrazione, per essere schietti. Potrebbe succedere anche qui e le esercitazioni militari nell’Artico vengono condotte sempre più vicine al confine russo, un modo come un altro di lanciare un messaggio. È chiaro che un cambiamento sia in atto in Norvegia.”

Valerio Graziano

Osservatorio Artico © Tutti i diritti riservati

Valerio Graziano

Operatore internazionale interdisciplinare ed interculturale, mi adopero per contribuire allo sviluppo sostenibile di società ed individualità sicure, demistificando sistemi e pratiche complesse.

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